Al di là del confine la ricetta è la stessa: quando la Svizzera deve affrontare una questione interna che interagisce con il mondo esterno, com’è e come non è la decisione va sempre in direzione dell’isolamento. E la soluzione finisce per essere un bel muro. Un muro solido, impeccabile, lindo, ma pur sempre una barriera di mattoni.
L’ultimo episodio in ordine di tempo è la decisione di chiudere di notte sei valichi italo-svizzeri tra le province di Como e Varese.
Verrebbe quasi da dar ragione a chi, generalizzando, definisce quello svizzero un popolo irrimediabilmente noioso. Noi però sfuggiamo alle generalizzazioni che raramente stanno dalla parte della ragione, e pur senza riepilogare le riconosciute virtù degli svizzeri (che da italiani sotto sotto invidiamo perché perfettamente complementari ai nostri difetti) ci limitiamo a ricordare la cortina di acciaio che la Confederazione ha eretto per decenni a tutela del segreto bancario. Una colonna portante del sistema economico elvetico scalfita non dalla volontà di Berna, non dalle pressioni internazionali, ma dagli scandali finanziari, dalle fughe di nomi e dalla minaccia americana di pubblicarli tutti.
Potremmo continuare con le norme molto restrittive sull’immigrazione o con gli ostacoli sempre maggiori disseminati sulle strade dei frontalieri. Decisioni supportate anche da una serie di ragioni, sia chiaro, che finiscono per soccombere sotto la logica del «fuori tutti», del «sono affari loro», come se il mondo terminasse a Chiasso.
Una logica comprensibile, che trova popolarità e consensi e invidie anche in Italia, ma che difficilmente porta a risultati a lungo termine in un contesto di globalizzazione che, volenti o nolenti, passa da New York e Vladivostok ma anche da Pedrinate e Novazzano.
Ma torniamo alle nostre dogane chiuse di notte. La Svizzera vuole chiudere i valichi “minori” (gli indiziati sembrerebbero due fra Drezzo, Ponte Faloppia, Ronago e Bizzarone) perché – parole della leghista ticinese Roberta Pantani – «Sono incustoditi e dunque utilizzabili soprattutto la notte per chi vuole delinquere». Ammesso e non concesso che tutti quelli che delinquono in Svizzera entrino dall’Italia e passino di lì, ma qualche dubbio resta, sfugge la ragione per cui un ladro smetterebbe di rubare in Ticino soltanto perché chiude Drezzo e non Bizzarone. Se poi gli svizzeri sono così sicuri che i ladri passano di lì tutte le sere, non si capisce perché non ci mettano una bella pattuglia della Cantonale o delle Guardie di frontiera e il problema è risolto. Certo, serve più personale, servono più pattuglie, ‘sti ladri si devono arrestare, processare, poi tenere in galera, costano un sacco di franchi, in più si corre qualche rischio… Meglio chiudere tutto e dare la colpa agli italiani. Se poi i frontalieri devono fare qualche giro dell’oca in più… ben gli sta.
La questione è chiaramente politica. Trovando inedite difficoltà a risolvere i problemi interni, in questo caso l’ordine pubblico, anche in Ticino si cerca la soluzione a effetto, popolare e populista anziché quella efficace. Tra l’altro nascondendosi dietro le decisioni di Berna. («Hanno deciso loro, prendetevela con loro» ha ribadito la leghista Pantani). Però, lasciatecelo dire cari amministratori ticinesi, se la china che state prendendo è questa, sappiate che non c’è partita: in questa specialità noi italiani restiamo molto più bravi di voi.
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