E' la storia di Nicola e la raccontiamo con i polpastrelli leggeri perché in questo momento lui potrebbe essere già a casa, seduto sul divano a spiegare qualcosa a mamma Michela e a papà Luciano. L'angoscia che ci ha accompagnato ad ogni lancio di agenzia e ad ogni titolo di giornale si stempera all'improvviso e lascia spazio a sfumature di vita che non somigliano più a un dramma, ma a una bravata. Siamo certi che gli stessi genitori - prima allarmati, poi terrorizzati - siano d'accordo nel considerarla tale. E' andata bene a Nicola, è andata bene a tutti. Il verbo imperante è l'indicativo presente, siamo ancorati alla realtà e non all'illusione. Dopo i cupi colpi di scena di Avetrana, dopo il lungo e straziante calvario di Yara, sapere che un ragazzino di 13 anni ha attraversato indenne i suoi fantasmi e le lande notturne dei lupi per una settimana ci infonde una consolazione nuova. Ci fa capire che la notte, qualche volta, può non essere definitivamente buia.
Bentornato Nicola. Te ne volevi andare a tutti i costi, vero? La scuola come oppressione, la famiglia che giustamente ti teneva sotto pressione, l'alterco con il compagno di classe. E quell'invito della prof: «Vieni domani accompagnato da un genitore». Possiamo immaginare l'incubo, la piccola vergogna che diventa ossessione, la voglia di smaterializzarsi come il maghetto dei film. Quella mattinata non sarebbe mai arrivata. Qualcosa Nicola deve avere in tasca. Decide di vendere una sciarpa a un amico per racimolare dieci euro, compra un biglietto del treno, finisce a Milano in stazione centrale, sale su un convoglio internazionale. E arriva in Svizzera. Sorvoliamo sui controlli: possibile che un tredicenne passi così inosservato in frontiera?. Ma è finita bene, si può essere generosi. E' finita come al cinema, nei «Quattrocento colpi» di Truffaut, con il ragazzino che ruba la macchina per scrivere dall'ufficio del padre, viene denunciato e spedito in riformatorio. Ma scappa da quel postaccio per andare dove papà gli aveva promesso che l'avrebbe portato e non l'ha mai fatto: a vedere il mare. Happy end, una volta tanto. Oggi Nicola vedrà il mare negli occhi lucidi della mamma, nello sguardo di velluto del papà. E capirà quanta dolcezza, quanto bene può scaturire da uno spavento. E quanta solitudine può raggelare le fantasie di un ragazzo in fuga sull'espresso Milano-Zurigo.
Qualche mese fa su Facebook papà Luciano aveva pubblicato una foto di Nicola mentre guardava lontano, la mano appoggiata a sostenere il mento. E aveva scritto a commento: «Chissà a cosa sta pensando?». Vorremmo saperlo tutti a cosa pensano i nostri figli quando cominciano ad osservare gli orizzonti della vita. E vorremmo trovare forme ogni giorno nuove per dire loro quanto li amiamo.
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