Nell’arco di pochi giorni sulle pagine dei quotidiani di tutto il mondo, come sugli schermi dei computer o smartphone, abbiamo visto in successione due scene terribili: la decapitazione del giornalista James Foley e l’esecuzione in piazza di presunte spie da parte di uomini di Hamas. Sono scene terribili con cui, attraverso i “media” che le rilanciano a velocità vertiginosa in tutto il globo, siamo costretti a convivere. C’è anche la convinzione – certezza nel caso della decapitazione del giornalista americano – che queste scene siano oggi prodotte proprio per essere viste da tutti, con spietatezza, cinismo e implacabile calcolo mediatico. Forse non si è riflettuto abbastanza come l’esecuzione di Folley sia stata realizzata per essere mostrata a tutto il mondo, con vari i riferimenti iconografici, dai colori allo scenario, dalle posture dei corpi al gesto finale. La piazza delle esecuzioni, di medievale memoria, oggi si è estesa a tutte le case del Pianeta. Viviamo nell’età dell’estremismo, come ci aveva ammonito qualche anno fa Eric Hobsbawm , il grande storico, intitolando il suo libro dedicato al Novecento Age of Extremes. L’età degli estremi, che lo studioso inglese pensava riservata al XX secolo – Il secolo breve, com’è intitolato in italiano il suo libro –, si estende ben al di là di questa soglia temporale. L’estremismo rappresenta il cuore nero della contemporaneità o, come ha detto un altro studioso anglosassone, il rovescio della globalizzazione. L’eccesso esercita un profondo fascino, se, come pare certo, a compiere il barbaro omicidio di Foley, sia stato un giovane proveniente da Londra, un ragazzo cresciuto in Occidente.
Com’è possibile che l’estremismo contagi le persone? Una risposta certa non c’è. Di sicuro non si tratta solo di persone disperate, portate a gesti estremi da una condizione di particolare disagio psicofisico o sociale. Questi nuovi attori dell’estremismo non provengono sempre da luoghi di guerra o di conflitto latente. Il fanatismo è diventato un elemento sempre più diffuso. Phillips ha scritto in un suo testo sull’eccesso che “i kamikaze che si fanno esplodere non convertono le persone, ma rendono indimenticabile l’esistenza della loro religione”. Non è in gioco un elemento religioso, o di fede, bensì forme appunto di fanatismo assolute e assurde.
Ma da cosa s’intende uscire, quando si diventa degli estremisti? Da se stessi, probabilmente, da un’identità individuale o collettiva, che non si riconosce più. Gli psicologi ci fanno osservare che esistono, persistono e si diffondono esperienze che vanno dall’esagerazione, al mancato rispetto della legge, fino al genocidio. Ci sono molte gradazioni intermedie, ovviamente, ma il problema di individuare come e perché si produce questo eccesso è oggi per la cultura occidentale un problema fondamentale, come la difesa di chi è aggredito, ucciso e sterminato a causa di questo estremismo sedicente islamico, come accade ora in Siria e in Iraq. Un altro psicoanalista, Jacques Lacan, ha detto una volta che saremo sopraffatti sempre e solo quando gli eccessi degli altri coincideranno con i nostri.
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