Ognuno è libero di esprimere la propria opinione. Siamo in democrazia. Poi siamo sui social. A maggior ragione posso esprimere liberamente la mia opinione». Tradotto: su facebook vale tutto. Anche accusare un innocente di aver sterminato la propria famiglia. Se ci fosse una colonna infame degli aforismi più beceri, la frase di Federico Giannelli da Castel Focognano (Arezzo), meriterebbe un posto d’onore. Il tizio in questione lunedì sera si è visto, comodamente seduto sul divano (chissà se con birra e popcorn al seguito oppure no), l’ennesima puntata che le Iene hanno dedicato alla rilettura (totalmente avulsa dalle carte processuali e dalla realtà) della strage di Erba. Poi, la mattina, si è alzato, ha acceso il computer, è andato sul profilo di Beppe Castagna e in preda al delirio di onnipotenza ha scritto: «I veri colpevoli sono tuo fratello e l’allegra banda di albanesi». E poco sotto (preceduto dall’immancabile parolaccia, che non guasta mai): «Avete fatto ammazzare Sorella, Mamma e nipotino di 4 anni». Scritto proprio così. Maiuscole e minuscole incluse. Codice penale alla mano, le suddette frasi sono, senza ombra di dubbio, diffamatorie. Ma Mr Giannelli è uno tutto diritti e niente doveri (tipico di chi picchietta convulsamente sui social), tant’è che alla reazione indignata (ma mai ingiuriosa, e qui sta la differenza con i leoni da tastiera) di molti amici dei Castagna, replica: «Parlate di querela? Potrei querelare io per infamazione (sic!)».
L’episodio - l’ennesimo - di cui sono rimasti vittime sui social i fratelli di Raffaella, i figli di Paola, gli zii di Youssuf (massacrati da Rosa e Olindo), è sintomatico di un paio di questioni particolarmente di attualità. La prima: l’uso di facebook et similia come clava da brandire contro gli altri. Come magistralmente - ancorché involontariamente - spiegato proprio dal signor Giannelli da Castel Focognano, i social sono visti da buona parte degli odiatori seriali della rete (gli webeti, per dirla con Enrico Mentana) come un porto franco, un luogo dove tutto è loro consentito e attraverso il quale poter liberamente sfogare gli istinti peggiori. E guai far notare che accusare del tutto ingiustamente qualcuno di essere uno sterminatore di famiglie è un reato: «C’è la libertà di opinione, soprattutto su facebook». Ecco, di fronte all’abuso dell’altrui intelligenza verrebbe voglia di auspicare un patentino per poter usare i social, ma per fortuna la Costituzione lo vieta anche perché contro gli odiatori basterebbe il Codice penale (e qui la preghiera alla Procura di Como perché bussi quanto prima a casa dei vari signori Giannelli per sequestrare computer, tablet, cellulari e avere la prova del reato commesso).
La seconda questione riguarda la scintilla che “arma” i vari Napalm51 (avete presente l’odiatore creato dal genio comico di Crozza?). Per il tizio di Castel Focognano la scintilla è stata le Iene. Per molti altri è il post oppure il tweet sconsiderato di certi politici, che ormai ritengono che il solo modo per crearsi consenso sia quello di parlare la “lingua del popolo”, fraintendendo questo concetto con il dar voce agli “istinti del popolo”.
La trasmissione cucita magistralmente - per il suo scopo, sia ben chiaro - dagli autori della trasmissione Mediaset, suggerisce ma non dice, allude ma non afferma, lascia intendere ma senza affondare l’accusa finale, che Pietro Castagna possa in qualche modo aver avuto un ruolo nella strage.
Così facendo espone un innocente (vero, non fasullo come i coniugi Romano) a una moderna ma ugualmente crudele gogna.
Le parole, in un’epoca dove queste viaggiano in tempo reale e raggiungono molte più persone che in passato, sono sempre più importanti. Ci rappresentano. Dicono chi siamo. Un altro linguaggio è essenziale per non piombare nella barbarie. L’alternativa? Rispondere di diffamazione davanti a un giudice. “Mandanti” inclusi.
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