Il campus e la Como
che non decide

Ma Como questo benedetto campus universitario lo vuole davvero? La sistemazione della collina di San Martino a cittadella del sapere è un progetto che la città ritiene strategico per il futuro suo e dell’università? E Como vuole seriamente coltivare la vocazione di città universitaria?

Perdonate la franchezza, ma dopo mesi di snervante dibattito, tira e molla, rinvii e qualche gioco a rimpiattino è forse il caso di porsi domande di questo tipo. E di darsi una risposta.

Ieri l’ennesimo confronto all’ennesimo tavolo ha partorito l’ennesimo accordo di massima, una interessante parata di belle intenzioni o di soluzioni più o meno articolate che volteggiano attorno al nocciolo della questione: i soldi.

Facciamo i pragmatici. Se anche i cinque milioni della Fondazione Cariplo dovessero spuntarla nella competizione fratricida con Villa Olmo, per il campus rappresenterebbero non più di un avviamento. Peraltro legato a stretti limiti temporali per l’avvio dei lavori. È stato calcolato che per ultimare il primo lotto servono una quindicina di milioni. Certo, c’è un piano finanziario per reperirli e non c’è motivo per essere pessimisti, nonostante i tempi grami e bui. Guardiamo in positivo e ipotizziamo che tutto fili liscio: fra tre anni e mezzo Como avrebbe pronto il suo bel primo lotto di campus insediato in collina, ad uso e consumo dei 1.500 studenti del Politecnico. Bello, certo. Ma la struttura sarebbe monca e sostanzialmente inutile, come dicono un po’ tutti i soggetti coinvolti. Completarla, significherebbe a quel punto investire altre decine di milioni, tra l’altro senza l’aiutino di mamma Cariplo e una enorme “x” sui tempi.

Per questa serie di motivi sarebbe forse stato auspicabile, prima ancora di arrivare dove siamo ora, aprire un dibattito sereno ma rigoroso sull’utilità sul ruolo di Como città universitaria in generale, e sulle funzioni del campus in particolare. Invece ci si è al solito fatti trascinare dagli eventi, ci si è lasciati stuzzicare dal bel progetto e, forse, spinti dal fuoco positivo dell’entusiasmo non si è ragionato a sufficienza a lungo termine. Certo, a tutti i comaschi piacerebbe una città brulicante di studenti, culturalmente così vivace che la prossima volta un Virzì qualunque nemmeno oserebbe fiatare. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il lago.

E qui il discorso trascende dal campus e si allarga. A Como, ai comaschi. A una città che si è spesso fermata a metà del guado, che ha associato slanci positivi a continui ripensamenti, che raramente ha guardato avanti interrogandosi sul futuro. Una città che di fronte alle difficoltà più che reagire con veemenza ha spesso seguito il corso degli eventi, magari scaricando colpe qua e là o dribblando le responsabilità. Eppure negli anni passati, ahinoi ormai lontani, Como è stata protagonista di scelte coraggiose e all’avanguardia. Segno che anche questo fa parte del nostro dna. Senza scomodare il Razionalismo, pensiamo che cosa succederebbe oggi se l’amministrazione decidesse di confiscare una fetta di parco alle meglio famiglie della città per realizzare una passeggiata a lago. È accaduto per Villa Olmo, sindaci Piadeni e Gelpi, non certo teorici dell’esproprio proletario. Oppure pensiamo alla pedonalizzazione del centro storico, anni Settanta sindaco Spallino. Operazione iniziata e terminata, nonostante tutto e tutti. Guardiamoci indietro, insomma, per vedere meglio avanti.

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