Se la situazione in Egitto non fosse drammatica la notizia di lunedì sulla probabile, imminente scarcerazione di Mubarak sarebbe apparsa come un formidabile pesce di aprile.
Mentre i Fratelli musulmani (e molte cancellerie occidentali) aspettavano la notizia della liberazione di Morsi, agli arresti dopo il «colpo di stato», abbiamo appreso che ad essere liberato sarà l’altro presidente, il suo predecessore, spazzato via dalla primavera araba egiziana nel 2011. Dopo che a gennaio l’Alta corte aveva annullato la sua condanna per complicità nell’uccisione dei manifestanti di Piazza Taharir,
Mubarak è stato infatti scagionato lunedì da una prima accusa di corruzione che apre la strada, secondo i suoi legali, ad un’immediata liberazione. Per spiegare questa situazione surreale per contenuto e timing qualcuno - in Egitto e fuori - si appelleraà all’indipendenza della Corte e della magistratura: difficilmente troverà pero argomenti convincenti visto che parliamo dello stesso potere giudiziario che, annullando le elezioni vinte dai Fratelli musulmani nel 2011 e escludendo dalle elezioni presidenziali i candidati sgraditi, ha dato abbondantemente prova di essere al servizio di una parte politica (parlo dell’Egitto, sia chiaro!). La domanda che è quindi lecito porsi è perché il governo provvisorio insediato il mese scorso abbia avallato, proprio in questi giorni convulsi, la liberazione dell’uomo che per 30 anni è stato il dominus assoluto della politica e dell’economia egiziana. Per alcuni si tratta di un’ulteriore, preoccupante prova della miopia e dell’insipienza politica dell’esercito, della sua incapacità strutturale di creare condizioni per il dialogo e la riconciliazione con la metà del Paese che aveva votato e creduto nel cambiamento incarnato dai Fratelli musulmani. Non contenti del bagno di sangue, del ripristino dello stato d’emergenza, dell’arresto di tutti i principali dirigenti politici, della minaccia di scioglimento della Fratellanza, i militari - secondo questa lettura - si sono fatti prendere la mano scegliendo di rendere ancora più esplicita la «restaurazione» riportando in scena l’odiato simbolo dell’epoca passata. Operazione politicamente folle, che allontana sempre più la riconciliazione con i seguaci di Morsi e mette contemporaneamente in difficoltà i laici liberali che hanno sostenuto l’intervento militare per «salvare» la primavera araba, non certo per affossarla definitivamente.
C’è però un altra lettura, diametralmente opposta, che vede nella imminente liberazione del raìs un abile calcolo politico. C’è un altro Egitto, la metà, che non ha votato per la Fratellanza, che appoggia i militari perché vuole il ritorno alla stabilità passata: dopo due anni di caos rimpiange l’assenza di criminalità, l’afflusso dei turisti e di investimenti stranieri, la crescita economica. Certo, le elezioni erano una farsa, le prigioni erano piene di oppositori politici, la ricchezza era vergognosamente concentrata, la corruzione a livelli intollerabili. A questa metà però poco importava: si stava meglio quando si stava peggio. È solo a questa metà che pensano i militari nel loro calcolo politico, esattamente come Morsi pensava solo alla «sua» metà. Consapevoli di non poter garantire nel breve periodo la restaurazione dello status quo, si affidano ad un simbolo e liberano Mubarak che della «stabilità» rimpianta era l’incarnazione.
Le nostalgie post rivoluzionarie non sono certo una novità: basti pensare ai partiti comunisti ancora popolari in Russia e nelle Repubbliche ex sovietiche 20 anni dopo la caduta del Muro di Berlino. La peculiarità dell’Egitto sta nell’essere diviso in due. Fino a quando queste due metà non troveranno un terreno d’incontro (a partire dalla stesura della nuova Costituzione) e una comune lettura della storia degli ultimi decenni, è difficile immaginare alcun tipo di stabilità egiziana, chiunque governi e qualunque presidente venga liberato.
Ps C’è un altro Paese del mediterraneo «diviso in due» e che fatica a trovare punti di incontro. Forse le vicende egiziane, ovviamente molto diverse, dovrebbero fare riflettere e invogliare tutti ad accogliere i ripetuti appelli del presidente Napolitano...
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