Cadere, rialzarsi e decidere di mettersi in proprio. Con questo gesto tre ex dipendenti dell’Anors non si sono soltanto dati un futuro. Hanno anche trasmesso con il loro esempio nei mesi scorsi una speranza alle tante persone che a Como si sono trovate senza lavoro. Tra il 2009 e il 2013, più di 17mila persone.
Hanno lanciato insomma il messaggio: non piangiamoci addosso, reagiamo e se non troviamo un altro impiego, dobbiamo crearlo.
Non solo. Come accade a chi si è trovato in difficoltà, questi tre comaschi vorrebbero aiutare gli altri e il loro sogno è di assumere ex colleghi. Potrebbe, dovrebbe essere il momento giusto. Lo raccontano diversi settori, e non perché sia terminata felicemente la crisi e piovano gli ordini sulle aziende.
Si fanno strada piccoli segnali, questo sì. Solo che spesso compaiono rapidamente, ma poi si dissolvono con altrettanta velocità. Come tutti i segnali, tuttavia, vanno colti con decisione. Con coraggio. In caso contrario, si contribuisce alla loro sparizione.
I tre neo imprenditori ce la stanno mettendo tutta. Ma se si erano sentiti soli quando perdevano il posto di lavoro, questa sensazione non è finita. Paradossalmente, è cresciuta. Perché se hanno avuto la fortuna di essere sostenuti da associazioni e sindacati nei loro primi passi, il grande assente è sempre lui, lo Stato. Ieri e oggi.
Assente quando vuole, si intende. Perché di aiuti zero, ma di ostacoli sfodera un’ampia scelta. Sembra un discorso vecchio, eppure non lo è proprio in virtù delle lievi, positive scosse che qua e là si avvertono nel mondo produttivo lariano.
L’immobilismo regna invece sul fronte dell’occupazione e (anche) la storia dei tre ex Anors spiega perché. Come assumere, quando devi rinunciare al tuo stesso stipendio per pagare le materie prime o altri costi? Quando rifai i calcoli e ti rendi conto quanto versi davvero per un dipendente? E quanto - poco - gli resta nelle tasche rispetto alla cifra consegnata allo Stato? Così i consumi continuano a latitare, alimentando il circolo vizioso che toglie energie alle imprese.
Tutto come prima, a parte il fatto che c’è quella luce. Minuscola quanto si vuole, ma è sempre meglio del buio che ci ha accompagnati prima.
A questo punto, il coraggio è più importante che mai e non si può lasciare solo.
Tutti hanno il dovere di premiarlo, ciascuno nel proprio ruolo. Chi può dare una mano, chi può compiere uno sforzo e assumere. Sono le formule, non magiche, anzi spesso faticose, da trovare a tutti i costi. Ma è anche vero che non tutti gli sforzi devono provenire da parte del mondo dell’impresa.
La proposta ascoltata pochi giorni fa al convegno dei Rotary a Como sull’area superaggregata con la Svizzera è un sogno che ha deliziato molti, perché si è vista anche l’opportunità di sostenere le imprese. Il risveglio è arrivato subito dopo la presentazione dell’idea dei professori. Se la doccia fredda delle banche era solo l’inizio, la mazzata reale è giunta sempre da quella considerazione della base: lo Stato latitante o invadente a seconda delle (sue) esigenze.
Uno Stato che deve riscoprire il coraggio di sostenere chi ha osato con le proprie forze. Chi ha provato a rialzarsi, senza chiedere nulla, ma dal quale non si può sempre e solo pretendere.
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