Il dott. robot non sorride
eppure salva la vita

Benvenuti nella sanità del terzo millennio. Popolata di robot. Si potrebbe arrivare a questa conclusione, dopo aver assistito alla presentazione, ieri, dell’innovativo progetto avviato dall’ospedale Valduce. Un salto in avanti tutto basato sulla telemedicina, che consente al medico di collegarsi da remoto con la stanza del paziente e con i colleghi. Si accorciano i tempi per la diagnosi e le prime cure, ci si affida agli specialisti più preparati anche quando non possono essere fisicamente presenti. Una novità da accogliere positivamente, quella che coinvolge l’ospedale comasco di via Dante e la clinica riabilitativa Villa Beretta. Non c’è da aver paura della tecnologia, sarebbe assurdo nel 2016. L’idea di far visitare a distanza da un luminare negli Stati Uniti il paziente che si trova nella piccola clinica di periferia è fantastica. Lo è ancora di più se pensiamo che l’intervento di uno specialista, non presente ma collegato in diretta video grazie a un computer, può salvare davvero la vita. Nel caso di un ictus (i numeri sono impressionanti, 425 pazienti nell’ultimo anno solo al Valduce) è fondamentale la tempestività dell’intervento per minimizzare i danni: poter contare su un neurologo anche se nei paraggi non ce ne sono, senza perdere minuti preziosi per il trasferimento in ambulanza, può risultare decisivo.

Benvenuto robot, allora. A patto che non si esageri. Sì, perché la prospettiva di essere visitati sempre e solo a distanza ci piace molto meno. Va bene la telemedicina per accorciare le distanze, in termini sia di spazio che di tempo, va meno bene de diventa un modo - diciamolo brutalmente - per risparmiare.

Il medico che non va più a casa del paziente, ma lo cura “da remoto”, è uno scenario tutt’altro che auspicabile. Certo, i soldi sono sempre meno anche per la sanità, ma basterebbe usarli un po’ meglio (e qui si aprirebbe un discorso infinito pensando ai tanti scandali che hanno investito il settore anche in Lombardia, leggi corruzione). È vero che il medico qualche volta ci fa arrabbiare, dobbiamo fare la coda in ambulatorio, i tempi d’attesa per una visita in ospedale sono lunghissimi, e in corsia non sempre il trattamento è all’insegna della gentilezza.

Ma preferiamo di gran lunga il vecchio medico, magari un po’ scorbutico, allo schermo di un computer e alla voce metallica di un dottore collegato da uno studio a qualche chilometro di distanza.

Vogliamo guardarlo negli occhi, quando gli raccontiamo il nostro problema o quando ci deve comunicare diagnosi e cura. Vogliamo una pacca sulla spalla o una sgridata, se serve. Cose che un robot non può darci.

Viene in mente il dibattito sui telefonini e sui social network. Sulle nuove generazioni che chattano e si scrivono, senza incontrarsi. O se si incontrano stanno tutto il tempo con gli occhi inchiodati sullo smartphone (scena sempre più frequente).

Capita, però, che quando c’è qualcosa di serio di cui parlare anche il ragazzino ipertecnologico cerchi il conforto dell’amico, l’abbraccio, la vicinanza espressa non solo con una faccina stilizzata sullo schermo del telefono.

Ecco, nei momenti importanti abbiamo bisogno di una persona in carne ed ossa, al nostro fianco. E cosa c’è di più importante della salute?

© RIPRODUZIONE RISERVATA