Il duello Renzi-Salvini
due “Franti” quasi amici

Alla fine sembrava “Quasi amici”, la commedia francese che parla di due diversità che si sostengono. I due Mattei, Renzi e Salvini in rigoroso ordine alfabetico hanno fatto finta di duellare davanti a un Bruno Vespa che non stava più dentro i nei. In realtà l’obiettivo di entrambi era quello di rilanciarsi. Sembra un paradosso per un Salvini che naviga nei sondaggi attorno al 35% ma che, da quando ha perso il Viminale e quindi la possibilità di giocare con le navi delle Ong e le corazzate mediatiche che bombardano i social a ogni piè sospinto sembra essere finito in un cono d’ombra. Ma pure per l’altro Matteo che, una volta esaurita l’onda di king maker del governo giallorosso, o giallorosa come preferite, è confinato nel suo partitino del 4 o poco più per cento. Si sa, i due, non sono tipi da ordinaria amministrazione, da cartellino da timbrare e poi tirar sera con la Gazzetta dello Sport spiegata sul tavolo di lavoro.

Da qui il confronto tv che ha consentito a entrambi di dire “oh, ci siamo ancora”. Con tanta voglia di fare i Franti e lanciare il sasso contro la vetrina che in fondo è ciò che li rende così diversi ma tanto uguali. Non a caso Vespa, uno che la sa lunga, a un certo punto ha buttato là un “non è che vi ritroverete insieme in un partito moderato?”. Orrore da entrambi, costretti a recitare la parte degli amici mai che, però, come canta Antonello Venditti, si cercano in continuazione. E lo sa anche la ghiaia dei giardini dei palazzi romani che i due Mattei, entrambi oggi senatori semplici della Repubblica, sono rimasti e restano in contatto. Se non altro per studiare come spartirsi le venture spoglie dei Cinque Stelle o per tirare a fregarsi sulla sfiducia a Conte. Un altro, il premier, che li mette d’accordo: entrambi puntano a fargli le scarpe e a sostituirlo a palazzo Chigi. Chiaro per Salvini che “Giuseppi” il traditore l’ha sempre digerito poco. Meno, fino a un certo punto, per Renzi. Che con questo governo di cui pure è stato levatrice, ha lo stesso atteggiamento della Dc nei confronti degli esecutivi guidati da Adone Zoli (anni ’50) e Giovanni Goria (anni ’80) definiti “amici” con tutto quello che significava nell’artigliante gergo della Balena Bianca.

Alla fine più che un duello rusticano è sembrata una discussione all’osteria, davanti a un mezzo litro di frizzantino fra due tifosi di squadre antagoniste che si rinfacciavano scudetti rubati, broccaggine, partite decise di colpi di fortuna e campagne acquisti sballate. Di politica nessuna traccia, di riferimenti a un qualche ideale nessuno. Del resto, due campioni di tattica post politica come i Mattei è difficile metterli assieme.

E allora? Chiaro che vale il proverbio dell’orbo che regna sul mondo dei non vedenti. Perché fuori dallo studio di Porta a Porta, nei palazzi in cui stavano rabberciando la solita manovra da nozze con i fichi secchi e coraggio di don Abbondio, non è che si scorgessero dei De Gasperi, Churchill, Brandt, Blair o Thatcher del Terzo millennio. Allora i Mattei, svelti fenomeni della comunicazione politica e se non c’è la politica è come il riso e mona dei veneti senza riso, ce li possiamo pure tenere e attendere che, una volta finito di specchiarsi nel loro smisurato ombelico, decidano che è arrivato il momento di riprendere il mano la selce di Franti. Allora in tanti, e non solo il premier Conte, non potranno stare sereni.

@angelini_f

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