Un giorno, per spiegare ai bambini che cosa è l’Europa, qualcuno mostrerà loro un’immagine. E’ l’immagine che Parigi ha dato di sé domenica 11 gennaio 2015. Ieri. Per un pomeriggio che a tratti è sembrato potesse durare all’infinito la città del Re Sole, della ghigliottina e di Napoleone è stata scelta dal destino e dalla Storia per diventare il centro di tutto.
Uomini e donne, giovani e vecchi con la pelle di tutti i colori sono arrivati da tutto il Paese, da tutto il Vecchio Continente. Non fatevi ingannare dalla presenza di capi di Stato, potenti, politici , quel che conta era la gente comune, le famiglie, i bambini, mai visti tanti bambini: con una mano stringevano le matite, con l’altra il filo di un palloncino.
Il passaparola (“Ci saremo”) è diventato una parola d’ordine perché per un giorno a tutti è sembrato che non fosse possibile essere da nessuna parte, se non nelle strade di Parigi. “Esserci” per condividere tristezza e indignazione in un rassicurante abbraccio di fraternità. “Esserci”, per dire che la barbarie non avrà la meglio sulla ragione. “Esserci” per dire che si può essere uniti nonostante le diversità, anzi, facendone tesoro.
Non sono solo i numeri (hanno sfilato milioni di persone, mai accaduto) a dire l’enormità della giornata di ieri qui a Parigi. C’è qualcosa, con tutta evidenza, che non è misurabile, perché sta aggrappato al bordo del cuore.
Nel minuto di silenzio tutti tremavano, come direbbe Céline, con tutto il contenuto dei loro corpi e delle loro anime. Sono tre notti che alle finestre delle case brilla la luce di piccoli lumini, quando cammini in alcune strade ti sembra di essere in un gigantesco presepe.
Gli autori del massacro hanno colpito la Francia in quello che ha di migliore e più universale: la libertà di pensiero, e quindi anche il diritto alla controversia. Insomma, quel filo che da Voltaire arriva fino a Charlie-Hebdo. La Francia dell’illuminismo, quella che scommette sulla cultura per disarmare l’odio. Perché è la polemica il vero pilastro della democrazia, l’unico regime che se ne nutre. L’unanimità è un segno di malattia, non di salute. E la satira è come il canarino che avvertiva i minatori della presenza di gas mortale. Misura la libertà e la tolleranza di un Paese.
Infine, per amore della verità, e ben consapevoli di andare se non controcorrente almeno contro un’onda emotiva travolgente, lasciateci mettere in guardia dall’eccesso di “santificazioni”. Anche perché, se c’era una cosa che non piaceva a Charlie era proprio l’appiccicosa melassa dell’unanimità buonista. Per esempio la stampa americana, che non può certo essere tacciata di oscurantismo, in questi giorni si è spaccata. I giornali di grande tradizione, dal New York Times al Wall Street Journal, passando dalla Cnn, hanno scelto di oscurare le vignette del settimanale francese. Il direttore del New York ci ha messo un pomeriggio intero a decidersi, e ha cambiato parere tre volte, prima di censurarle “per non offendere i nostri lettori musulmani”. E un suo editorialista ha scritto “No, io non sono Charlie”, tanto quel genere di umorismo “deliberatamente insultante” gli era estraneo.
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