Bisogna dirlo forte: chissenefrega. Sì, chissenefrega di chi sono le responsabilità: del Comune di Como, della Provincia, della Regione, delle cavallette, di Roma ladrona, del nonno in carriola. La questione non è questa e neppure interessa coloro che nel primo bacino del lago di Como si specchiano in una pattumeria. Rami, plastica e sporcizia assortita sormontata da gabbiani di becco buono, cigni evidentenmente nobili decaduti e sotto la quale si intravedono rari pesci si presume piuttosto alterati.
Il tutto perché, a causa di un rimpallo di competenze in perfetta linea con le tradizioni di questa patria sì bella e ancora perduta cent’anni e rotti dopo Verdi, nessuno riesce a rimettere in acqua il battello spazzino. E non che serva accendere un mutuo. Ci vogliono 50 mila euro. Una bella cifra per un padre di famiglia che deve mettere insieme il pranzo con la cena. Argent de poche per le istituzioni e per una città ricca come la nostra.
Fare gli struzzi su questa sporca (e il caso di dirlo) faccenda è un esercizio di preparazione alle Olimpiadi del masochismo con ottime speranze di raggiungere il podio. Ci riempiamo la bocca di Expo, cianciamo di articolate strategie per attirare il maggior numero di turisti e visitatori. Siamo beneficiati dallo loro indulgenza perché insistono a voler passare il loro tempo libero in una città con un cantiere atavico nella zona più suggestiva.
E per ringraziarli ora offriamo loro anche il lago pattumiera. Non importa che abbiano tutti ragione, che si ostentino mani legate, che è colpa della crisi che è la solita burocrazia, che vuole farci cara signora? Ripetiamo: chissenefrega se sono state seguite tutte le procedure, se i bolli stanno lì al loro posto, se siamo in attesa di un via libera, si vi sono indicazioni perentorie dall’alto.
Si è già perso troppo tempo a dissertare di ciò, o a parlare di fontane nelle piazze, o a fare donchisciottesche battaglie contro il monumento sulla diga. E intanto il lago è lì, violato dai rifiuti, in una città le cui famiglie devono (giustamente) assicurarsi di aver messo la carta nel bidone blu e l’alluminio in quello verde.
Però ci sono i loghi. Ci si accapiglia sui simboli, sugli slogan: meglio Lago di Como o Lake che fa tanto Clooney? Stilizzato? In bianconero che dà quel tono vintage o con colori accesi che attirano l’attenzione? A proposito uno di questi sghiribizzi è costato 25 mila euro, mezzo battello spazzino. Intanto l’immondizia continua a galleggiare impunita. E il primo maggio (su coraggio) si taglia il nastro di Expo. Mancano 50 giorni e 50 mila euro. I turisti di 114 paesi, dopo aver gustato il cibo a cui è dedicata la rassegna, potranno venire a digerire contemplando i rifiuti lacustri. Che rischiano anche di aumentare se arriveranno le proverbiali piogge d’aprile che in mezz’ora lavano un’anima e una strada, come canta Guccini, ma portano a valle dove abita il lago, altri detriti espulsi dai boschi abbandonati.
E incredibile che per 50 mila euro e un rimpallo di (in)competenze si debba giungere a questo punto. È una questione di buon senso che sembra essersi perso in una Como che pure in tante altre situazioni difficili e negative ha saputo reagire, fare squadra e trovare l’happy ending. Deve riuscirci ancora. Chissenefrega a chi tocca mettere in acqua il battello, chissenefrega chi ci mette i soldi. Ma qualcuno lo deve fare.E subito.
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