Ifunghi dall’Europa dell’est, i pompelmi dal Sudafrica e le alborelle dall’Albania. L’ideologia del km zero a tutti i costi contiene, come tutte le ideologie, molte contraddizioni. Ma la globalizzazione a tavola, anche quando non mette a rischio la salute, è un vero e proprio attentato all’identità culturale perché si è, per dirla come Feuerbach, ciò che si mangia. E allora occuparsi dell’estinzione di persici e alborelle non è un esercizio ozioso, si tratta di una questione che ha molto a che fare con l’identità stessa di noi comaschi.
Perdere il vero risotto con il persico non è una iattura solo per i gourmand, significa minacciare le radici stesse della nostra comunità.
Tempo fa un quotidiano svizzero, il Giornale del Popolo, ha raccontato quanto rapidamente si sia trasformato il Ceresio. Ancora negli anni Settanta era un lago molto pescoso ricco anche di agoni, trote, lucci, cavedani, coregoni, tinche e persici per citare i pesci più noti. Oggi, anche se l’inquinamento è mediamente più basso, molte delle specie autoctone si sono pressoché estinte e per la popolare sagra di Brusino Arsizio viene importato dall’Albania circa un quintale di pesciolini.
Ora, qui non è il caso di fare dei confronti dal punto di vista del gusto, ma è certo che l’aneddoto è rivelatore di quanto sia andata ridimensionandosi l’economia della pesca sui nostri laghi e di quanto l’ecosistema lago sia ridotto agli sgoccioli. Anche se poi capita di trovare straordinarie storie di persone che vanno controcorrente. Una è quella di Cristian Ponzini, ristoratore bellagino ma soprattutto pescatore professionista che porta a tavola solo pescato doc e chiede che i suoi sforzi siano in qualche modo tutelati perché non è giusto mettere sullo stesso piano il suo prodotto con quello preparato con il persico dell’Est Europa.
Possibile che nulla si possa fare per salvare un mondo che è parte di ciò che siamo? Molti sono i fattori che incidono su quanto accaduto. C’è chi se la prende con il siluro e le specie alloctone, altri sottolineano l’incidenza di cormorani e germani reali ma anche gli effetti del moto ondoso che ostacolano la riproduzione lungo le rive. Probabilmente all’origine c’è una combinazione di cause, di certo la vicenda nel suo insieme evidenzia quanto poco, negli ultimi decenni, abbiamo contato sul lago quale straordinaria risorsa naturale per il territorio.
Ora, al di là della pesca, guardiamo a ciò che è accaduto negli ultimi mesi nel primo bacino dove, circostanza impensabile ancora qualche anno fa, l’Asl ha dato il via libera alla balneazione. Ma la notizia in città è passata quasi inosservata e quelle poche coraggiose iniziative per incentivare i tuffi nel primo bacino sono rimaste una cosa tra pochi intimi.
Il lago, il lago, facile definirsi lagheé ma poi spostarsi su e giù per il Lario solo in auto sulla Regina. Eppure l’acqua potrebbe in un domani non lontano anche diventare uno strumento per mobilitare i flussi delle persone, a cominciare dagli studenti e dai lavoratori che abitano sul lago e ogni giorno fanno avanti e indietro dal capoluogo. Il lago è radici e tradizione ma anche innovazione e sguardo sul futuro.
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