Nel pieno della seconda guerra mondiale, ufficiale italiano nella Polonia dilaniata da tedeschi e sovietici, Curzio Malaparte si domandava la ragione della crudeltà degli uomini in battaglia e, soprattutto, della ferocia belluina, dell’istinto sterminatore, dell’ideologia annientatrice, demoniaca dei nazisti.
E in una pagina inarrivabile, malinconica, straziante di “Kaputt” ci ha lasciato in eredità una risposta che solo un genio come lui - scrittore formidabile e di certo il più grande giornalista della storia d’Italia – poteva dare: “Hanno paura. Hanno paura di tutto e di tutti, ammazzano e distruggono per paura. Non già che temano la morte: nessuno di loro teme la morte. E nemmeno hanno paura di soffrire. In un certo senso si può dire che amano il dolore. Ma hanno paura di tutto ciò che è vivo, di tutto ciò che è vivo al di fuori di loro, e anche di tutto ciò che è diverso da loro. Il male di cui soffrono è misterioso”.
Il loro male consisteva nell’aver paura. Soprattutto degli esseri deboli, degli inermi, dei malati, delle donne, dei bambini. Avevano paura dei vecchi. Ed è per questo che ammazzavano gli indifesi, impiccavano gli ebrei nelle piazze, li bruciavano vivi come topi dentro le case, fucilavano i contadini e gli operai nei cortili dei kolchoz e lui, che osservava con intelligenza cristiana quell’elemento morboso della loro natura venendone mosso a pietà e orrore, li aveva visti ridere, mangiare, dormire all’ombra dei cadaveri dondolanti dai rami degli alberi. “La loro paura ha sempre suscitato in me una profonda pietà. Se l’Europa avesse pietà di loro, forse guarirebbero dal loro orribile male”.
Chiusura poetica, commovente, forse sbagliata o addirittura assurda, surreale, ma così straordinariamente acuta da rimanere attualissima anche oggi, in mezzo a tanto caos, tanta pancia, tanta retorica, ideologia, melassa e, diciamoci la verità, tanta fuffa luogocomunista sulla tragedia di Parigi. Pensateci un attimo, se sostituiamo i nazisti con i terroristi islamici e l’ideologia razziale-biologica con quella religiosa, l’analisi di Malaparte rimane lì praticamente intatta, interpretazione completamente altra da ogni dibattito ansiogeno legato all’attualità, da ogni schematismo da schieramento precostituito, da ogni logorrea sudaticcia da talk show nei quali innumerevoli esperti pret-à-porter in servizio permanente effettivo sui talk show della nazione discettano di strategie militari, teoremi geopolitici e solecismi dei sacri testi della tradizione cristiano-giudaico-islamica.
La paura dunque. Sterminatori per paura. Paura degli indifesi, degli imbelli. “La misteriosa nobiltà degli oppressi, dei malati, dei deboli, degli inermi, dei vecchi, delle donne, dei bambini, loro l’avvertono, la sentono, l’invidiano e la temono. E ne prendono vendetta”. E ne hanno vista di debolezza, gli estremisti islamici, negli ultimi decenni della nostra civiltà, mai così fragile e inerme e gracile e indifesa. Forse è questo, parafrasando Malaparte, che li “spaventa” e che li porta a distruggerci, tessendo l’ordito della fine dell’Occidente, che affonda le sue radici lunghe nell’intuizione ormai vecchia di un secolo di Spengler e allunga i suoi tanti rami via via sempre meno frondosi e sempre più rinsecchiti fin dentro i giorni nostri. Durante i quali, infatti, il tessuto della cultura occidentale si è slabbrato, inaridito e svuotato di significato per trasformarsi in mera tecnica, puro nichilismo, greve e arida materia.
È la tesi del nuovo, contestatissimo libro di Houellebecq, l’infierire di un movimento allo stato nascente, di una nuova “potenza” sul corpaccione molle, putrescente e sfinito di una civiltà ormai in mano solo ai mercati e, quindi, senza più storia, orgoglio e dignità. Ma è anche la convinzione, a livello davvero altissimo, di un celebre e profetico intervento tenuto nel settembre del 2000 dall’arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi, secondo il quale l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. “Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità”. Secondo Biffi, la cultura del niente, l’edonismo e l’insaziabilità libertaria non sarebbero stati in grado di reggere l’assalto ideologico dell’Islam, che di certo sarebbe avvenuto. Per i cattolici diventerà quindi fondamentale riprendere nelle proprie mani la consapevolezza della verità posseduta perché “sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente preparano la propria estinzione”.
Ma questo compito sarà ancora più gravoso per i laici, perché ben poco è rimasto del vigore e del rigore delle fondamenta cartesiane, kantiane e illuministiche della nostra cultura, peraltro al centro della splendida lectio di Papa Ratzinger a Ratisbona. E non basteranno di certo le adunate in piazza sventolando matite spezzate o cartelli con scritto che siamo tutti Charlie o sparando banalità e velleitarismi da frustrati di provincia su Twitter per recuperare e smaltare le pietre d’angolo di un pensiero laico annacquato e sotterrato da decenni di benaltrismo, mondialismo straccione e doppie morali pulciose secondo le quali oggi saremmo tutti quanti pronti a farci ammazzare per Charlie (ma davvero? e per gli ebrei, invece?), mentre solo pochi anni fa eravamo lì in fila a insultare Charb e gli altri disegnatori per le loro volgarissime vignette contro Maometto che offendevano il sacrosanto dialogo tra le religioni.
La laicità vera è una cosa seria, che sa guardare su un orizzonte vastissimo, senza infingimenti e doppiopesismi. Sui giornali di ieri, ad esempio, c’erano venti doverose pagine sui diciassette morti parigini e poche righe sui duemila esseri umani – uomini, donne, vecchi, bambini - macellati dagli islamici in Nigeria. Gli africani valgono meno dei giornalisti, forse?
[email protected]@DiegoMinonzio
© RIPRODUZIONE RISERVATA