I miei figli d’estate sono sempre andati al magazzino della frutta a spostare le casse. Sono venuti su normali, non sono speciali». Bastasse spostare casse al mercato, come hanno fatto i figli del ministro Giuliano Poletti, per veder crescere ragazzi normali, saremmo a cavallo. Ma avendo il desiderio di veder crescere ragazzi, oltre che normali, anche felici, il problema è un po’ più serio.
Il ministro solleva un problema antico nel nostro Paese: tre mesi di vacanza da scuola sono troppi. «Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione»- dice Poletti. Fin qui nulla da eccepire ma quando Poletti
aggiunge, «non si distruggerebbe un ragazzino se invece di stare a spasso per le strade della città va a fare quattro ore di lavoro», qualche dubbio comincia a serpeggiare. Perché dietro a queste parole sembra nascondersi l’idea di una generazione di stupidotti che non vedono l’ora di mettere i libri nell’armadio per ammazzarsi di noia. In realtà i nostri ragazzi sono molto più avanti dei nostri politici. Campi di lavoro, esperienze di volontariato, stage nelle aziende, lavoro nei campi, studio delle lingue all’estero. Sono migliaia i ragazzi che usano del tempo estivo per vivere esperienze di crescita personale. Quello che non funziona è che tutto questo non è strutturale, è lasciato completamente sulle spalle dei singoli, delle famiglie, delle associazioni. Lo Stato, come sempre, è assente, detta le regole teoriche, senza nemmeno rendersi conto che la realtà li ha sorpassati.
Ma non solo. La dichiarazione di Poletti, rischia di essere estemporanea. Non prende in considerazione l’unitarietà della proposta formativa da offrire ai ragazzi. Le scuole già prevedono possibilità di alternanza scuola-lavoro. Quindi se l’idea è quella di portare queste esperienze anche nel periodo estivo, ha un senso, altrimenti non si capisce di che cosa si stia parlando.
Il cuore del problema è un altro. L’alternanza è un metodo di apprendimento. Ma se può essere fruita solo da una piccolissima parte degli studenti, come accade oggi, è sbagliata. Il ministro ha evitato di parlare di quello che è il vero ostacolo. Oggi le aziende non sono in grado di accogliere i ragazzi in numero ampio e con tempi continuativi. Sicuramente ai giovani sarebbe offerta un’ottima chance di apprendimento qualora scuole e aziende fossero nella condizione di offrire opportunità concrete. Ma i costi di questi inserimenti sono troppo alti e complicati da gestire e quindi poco praticati. Ecco perché, al di la delle affermazioni di principio, il governo deve pensare ad interventi, ad esempio di natura fiscale, per agevolare le aziende, che solo così potranno guardare all’inserimento dei giovani non più come ad un costo, ma come un investimento.
Detto questo ci sia concessa una divagazione. Se potessimo fare un augurio ai ragazzi che tra qualche mese andranno in vacanza è di avere tanto tempo libero, senza sentire la paura del vuoto da riempire. Perché la capacità di riempire il tempo libero, la riscoperta della possibilità di essere protagonisti delle proprie giornate, è un’esperienza che fa crescere. E’ l’ansia degli adulti che spesso crea i problemi. E’ come se facessimo crescere i nostri ragazzi organizzandogli noi il tempo. E’ già così tutto l’anno. La scuola, il doposcuola, i corsi di sport. Arrivano a sera che non hanno assaporato nemmeno un’ora di libertà per pensare, magari per leggere un libro, o semplicemente per guardare la realtà che li circonda. Anche così, aiutandoli ad essere protagonisti del proprio tempo, li si aiuta a diventare grandi.
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