Il mio incontro con Giorgio Caproni? Di tutta la vasta produzione poetica di Giorgio Caproni, mi colpì - e fu come un fulmine - una brevissima lirica nella quale mi parve di scorgere uno dei segreti più intimi della vita umana, della sua instancabile ricerca di significato e di valore, mai esausta e mai definita.
Ne riporto qui il testo affinché ciascuno possa risentire personalmente la verità di questa esperienza:
“Se non dovessi tornare,/
sappiate che non son mai partito./
Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua,/
dove non fui mai”/.
Come spesso succede nei grandi poeti, bastano poche parole per illuminare di un chiarore sempre nuovo la coscienza che un uomo ha di se stesso, della sua vita, del suo destino.
L’umanità del poeta si esprime nel suo essere continuamente in cammino e insieme nel mantenere ben salde le radici della gratitudine e della prossimità.
In queste righe mi sembra espressa l’esperienza di quel soggetto che il grande filosofo personalista Gabriel Marcel ha chiamato “homo viator”: la persona umana è sempre in cammino e, nello stesso tempo, si propone come affidabile e radicata fonte di significati e di valori.
Tutte le volte che torniamo, con il ricordo e con l’affetto, alle varie tappe nelle quali possiamo scandire i tempi del nostro vivere, insieme al rammarico che sempre accompagna il pensiero di occasioni perse e di appuntamenti mancati, si fa strada nel nostro animo un sentimento inesausto di riconoscenza.
Caproni ci aiuta a riandare così alle radici della nostra umanità, a riscoprire quanto sia importante una memoria capace di farci risentire la dolcezza dei doni ricevuti e la responsabilità di farli diventare, a nostra volta, occasioni per la continua rinascita di una terra nuova.
Di una terra abitata da un’umanità che non consuma né distrugge, ma feconda e custodisce e contempla.
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