Ha ragione il giornalista Paolo Condò: quando fai il discorso della vita non puoi sbagliare neppure una virgola. E Carlo Tavecchio, con il suo razzismo da osteria (con tutto il rispetto per le osterie) è andato ben oltre la punteggiatura. In un calcio dove, giustamente, per i buu si chiudono le curve, che credibilità può avere un presidente che inserisce nel suo discorso programmatico pur ricco di spunti più che validi un simile autogol? Non c’è rimonta possibile per raddrizzare un risultato più disastroso di quelli che il Milan sta collezionando
nella tournée americana. Eppure il presidente della Lega Dilettanti ha annunciato di voler proseguire nella corsa alla poltrona più importante del calcio italiano. Dal suo punto di vista può anche aver ragione quando dice che ha le leghe, e perciò buona parte delle società professionistiche e non dalla sua. Allora qui cambia la prospettiva della questione. Se nel calcio italiano c’è una maggioranza favorevole a Tavecchio anche dopo quello che ha detto, il problema non è solo lui.
Vale la pena di ripetersi: il programma del candidato alla guida di Federcalcio è valido, di netta rottura rispetto a un passato che ha contribuito al disastro di cui il mondiale è solo la punta dell’iceberg (e bisognerebbe andare a guardare anche alla base). Peraltro le intenzioni di Albertini, che pure è reduce dall’esperienza alla vice presidenza dalla Figc, non sono certo ispirate alla conservazione: sulle macerie si può solo tentare di ricostruire. A pesare su Tavecchio è la comunicazione che nel calcio, come in politica, è tutto. E quello che ha trasmesso il numero uno del pallone dilettantistico è devastante in un ambiente dove pascolano pressoché indisturbati Genny a Carogna e i suoi epigoni. Quando Tavecchio presidente sarà costretto a prendere posizione contro il razzismo in campo e negli stadi quante banane spunteranno? Sorprende che il calcio non se ne renda conto, quantomeno a livello di società, con poche eccezioni. Ma lascia allibiti anche che, sull’affaire Tavecchio, la politica abbia avuto riflessi più pronti e lucidi del calcio e, al di là delle grottesche divisioni tra centrodestra tavecchiano, centrosinistra critico e gli altri in ordine, sia arrivata prima nel cogliere il nocciolo della questione, assieme solo a qualche isolato calciatore o ex come Damiano Tommasi.
Se la Fiorentina arriva dopo Renzi nel prendere le distanze dal presidente dei Dilettanti e dal suo scivolone anche figlio di un substrato culturale che lo rende ancor di più inidonea alla carica ambita, significa che c’è davvero tanto da fare. Le società di serie A “no Tav”, sono solo cinque su venti. Due di queste (Juventus e Roma) lo erano già prima dello sfondone del candidato.
Insomma se è vero che la Germania è arrivata ai risultati attuali grazie anche al fatto che al vertice del movimento ci sono perlopiù ex calciatori (i vincitori del passato che hanno creato le condizioni per i successi di oggi), forse converrebbe puntare in quella direzione per il futuro del nostro pallone mai guarito. E forse incurabile.
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