La gente beve. Giusto per confermare quanto alto sia il livello del dibattito politico nella nostra repubblica delle banane e visto che, a quanto pare, la recessione non è un argomento significativo di cui occuparsi, il ministro dello Sviluppo economico degli scappati di casa ha imbastito ieri una violentissima polemica con il quotidiano “Libero”.
Venerdì scorso il giornale diretto da Vittorio Feltri ha buttato in edicola un titolo dei suoi - “Comandano i terroni” - spiegando che tre cariche istituzionali su quattro, oltre a una miriade di ministri e alti funzionari pubblici, sono in mano a meridionali pur essendo il sud, secondo quanto ribadito da Feltri con il consueto tatto, una zona del paese “ che economicamente non conta un cazzo”. Apriti cielo. Dopo un nanosecondo si è scatenata l’ira funesta di Di Maio che, supportato da tutti i suoi cherubini e serafini, ha accusato il quotidiano milanese di razzismo, chiesto l’immediato intervento sanzionatorio dell’Ordine dei giornalisti (e giù risate…) e ribadito che a quell’editore verranno tolti tutti i contributi ministeriali (e su questo siamo d’accordo: nessun giornale deve ricevere soldi statali, ma non certo come ritorsione).
Ora, ognuno potrà valutare il titolo in questione come meglio crede. Di certo è fortemente provocatorio, ma questa non è una novità - siamo sulla scia del celeberrimo “Patata bollente” riferito ai guai della Raggi a Roma - ma, se vogliamo essere sinceri, obiettivamente spassoso. Soprattutto perché è oggettivo che il termine “terrone”, fortemente dispregiativo, offensivo e davvero razzista in altre epoche storiche, diciamo tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, cioè nel pieno della migrazione degli italiani del Sud verso il Nord (anche europeo) con tutto il carico terribile di sofferenze, sradicamento, mancata integrazione e vessazioni rappresentato in maniera emblematica e struggente nel magnifico film “Pane e cioccolata” di Brusati, ha ormai assunto da tempo un altro significato. La parola è stata sdoganata, ha assunto via via un’accezione ironica, da sfottò, alla stessa stregua del dare del “polentone” a uno del nord. Anche perché i nuovi non integrati, i nuovi sradicati, i nuovi diversi ora sono altri. E infatti l’epiteto “negro” o “zingaro” permane in tutto il suo carico denigratorio - lo sentiamo tutti i giorni -: “terrone”, se non siamo ipocriti, sinceramente no.
E poi, se vogliamo continuare a sorridere, sperando che gli schiumatori assatanati della Rete non se ne dolgano, ci sono ben altri termini molto più offensivi di quello. Pensate un po’ se “Libero” avesse titolato “Comandano gli interisti” quali colate di bile sarebbero sgorgate dalle fauci degli juventini o “Comandano i lecchesi” che sindrome omicida avrebbe scatenato nei comaschi oppure “Comandano le ventenni” quali ululanti crisi di nervi avrebbe provocato nelle cinquantenni (altro tema di grande attualità…). E poi, diciamoci la verità, scandalo per scandalo, quali di questi tre titoli riferibili al nostro eroe è quello che vi scandalizza o, meglio ancora, vi fa ridere di più? “Comandano i terroni”, “Abbiamo abolito la povertà” o “Arriverà un nuovo boom economico”?
Il vero punto quindi non è questo, salvo il fatto che è sempre estremamente sgradevole, oltre che provinciale e infantile, minacciare ritorsioni nei confronti di un giornale per un titolo. Nel caso di presunta diffamazione, ci si rivolge alla magistratura penale e civile e morta lì, altrimenti Andreotti avrebbe passato le giornate a querelare giornali invece di fare (e nascondere) cose molto più importanti e Montanelli non avrebbe detto che solo un cretino querela per una vignetta. Che più o meno è la stessa cosa di un titolo. Il vero punto, il vero pericolo per l’Italia non è certo che comandino o meno dei meridionali - lo sa anche un bambino che geni e imbecilli si distribuiscono in modo omogeneo tra tutte le latitudini e in tutte le categorie - ma la cultura che sottende larga parte di questo governo. Questa è la vera tagliola nella quale il paese ha infilato lo zampone. La peggior pseudocultura sovvenzionatrice che ha condannato al sottosviluppo una terra ricca di intelligenze e potenzialità.
Una litania da uscirne pazzi. Lo statalismo, l’assistenzialismo, il complottismo, il dietrologismo, il vittimismo, il piagnonismo, il frignonismo, il benaltrismo, il forforismo, il pulciosismo, lo spaghettismo, il balconismo, il masaniellismo, l’autarchismo, il manettarismo, il protezionismo, il dazismo, il nazionalismo straccione e tutto quel blaterare sullo Stato che fa, lo Stato che disfa, lo Stato che deve entrare ovunque, nelle autostrade, nelle banche, nell’economia, nella creazione dei posti di lavoro e nella cura dei cherofobici e tutti protetti e tutti garantiti e tutti in pensione, perché il lavoro è male, la grande opera è male, la competizione è male, il merito è male, la competenza è male e comunque figlia e serva dei poteri forti, delle multinazionali, delle trilaterali, delle caste, delle élites, dei prenditori, degli sfruttatori, dei corruttori, dei vessatori e tutto il resto di quella retorica da osteria che trova terreno fertile in un paese che non ha mai coltivato una sana cultura liberale, basata sulla centralità e la dignità autonoma dell’individuo. No, sempre la massa, il gregge, il clan, la “gggente”, il popolo, il popolo bue da ammaestrare dal balcone, dal predellino, dalla diretta facebook, senza intermediari e senza contraltare, per carità, che tanto il popolo se la beve, che è cent’anni che se le beve tutte da chiunque arrivino.
E con il paradosso che il governo dei meridionali blatera e conciona e trombona sui titoli contro i meridionali e al contempo per il meridione non fa nulla, salvo inchiodarlo per sempre nella condizione di servo, succube del reddito elargito graziosamente dallo Stato Padrone che oggi te lo dà e magari, se non voti come si deve, il giorno dopo te lo toglie. E questo sì che è un Sud da veri terroni.
@DiegoMinonzio
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