Tra i tanti dubbi che la politica di questi giorni ci presenta, resiste granitica la solita certezza: il Pd è diviso. Spaccato tra renziani e non, sull’eventualità di trattare una qualche alleanza di governo con il movimento 5Stelle che, inutile girarci intorno, dal giorno in cui si sono appresi i risultati elettorali resta l’opzione più gettonata. Arrivarci, se ci si giungerà, sarà comunque lunga. Ma l’unica alternativa ad oggi appare il ritorno al voto che è l’opzione più appetita da Matteo Salvini per fare di un sol boccone quel resta di Forza Italia. Ipotesi che, oltre all’ex Cavaliere, atterrisce anche i dem che, stando ai sondaggi, in caso di ritorno alle urne, bene che vada manterrebbero gli stessi consensi del 4 marzo ma rischierebbero di diventare meno influenti di quanto sono ora.
La vera novità che esce tra le fragili mura del Nazareno è un’altra. Il Pd, infatti, con Renzi che ha dato le dimissioni ma solo per indossare i panni di un pesante convitato di pietra, rischia il “big bang”, un’altra scissione che comporrebbe l’estinzione del partito. Lo sanno anche i sassi, infatti, che l’ex premier, dopo il ko elettorale e l’indebolimento ormai atavico di Forza Italia, punta a trasformare i dem in una forza macronista. Un percorso che conduce alle elezioni europee del prossimo anno primo e ideale banco di prova di questo nuovo e rinnovato partito. L’idea rappresenterebbe anche uno sforzo, in scia di quanto avvenuto in Francia di costruire un modello che vada oltre quello novecentesco e la crisi profonda delle socialdemocrazie presente in buona parte nello stesso Pd. Il problema, però, oltre a quello di numeri di dirigenti e militanti disposti a seguire Renzi è che questa nuova forza politica non sarebbe più il Pd. Ammesso e non concesso che qualcuno finora abbia davvero capito cos’è stato e cos’è il partito voluto da Prodi e Veltroni due che le distanze dall’ultimo segretario le hanno prese da tempo. E si capisce anche, andando a risalire la corrente della storia del partito, questa voglia di tornare al governo sia pure, a causa dell’esito elettorale, in posizione subalterna ma condizionante rispetto al Movimento 5Stelle. Il partito democratico, infatti, è nato con l’obiettivo di essere forza di governo cosa che ha fatto negli ultimi cinque anni con alleanze diverse (prima Berlusconi poi Alfano) e in posizione egemone. Oltretutto un accordo con Di Maio & C. che hanno pescato a piene mani nell’elettorato dem riporterebbe la politica italiana su una sorta di pur traballante binario bipolarista com’era all’epoca della genesi del Pd, riproponendo un’alternanza spuria tra centrosinistra e centrodestra. Una simile prospettiva però vanificherebbe il disegno macronista di Renzi che parte anche dalla constatazione del definitivo superamento del bipolarismo. La partita perciò è ben più importante della partecipazione al governo. Rispetto al passato, quando le divisioni portavano al massimo alla nascita di forze politiche marginali e legate a obiettivi personalistici come si è dimostrata Liberi&Uguali, questa volta la spaccatura rischia di portare davvero all’estinzione del Pd così come lo abbiamo conosciuto finora e alla nascita di due partiti, uno di sinistra che andrebbe a ricontenere i fuoriusciti e un altro più rivolto a destra che strizza l’occhiolino al magmatico ambito di Forza Italia sopravvissuto all’Opa ostile di Salvini.
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