Ieri, con le strade attorno al centro storico deserte a causa dell’esodo vacanziero (o forse per la partecipazione di massa alla manifestazione romana del Pdl, il punto non è chiaro) Como sembrava l’ultima città ad aver ragione di lamentarsi in fatto di tangenziali, autostrade, collegamenti veloci e pedaggi da cancellare.
Eppure, nelle stesse ore, in un’intervista a questo giornale, il sindaco Mario Lucini ribadiva una richiesta in fondo così poco in linea con il dignitoso carattere cittadino: la domanda di un privilegio, di un “favore”, di un trattamento speciale. Ovvero che in futuro non sia necessario pagare
alcun obolo per transitare sulla costruenda tangenziale, tratto, peraltro, ancora concettualmente monco perché, per avere una logica e garantire efficacia, andrebbe completato con un secondo lotto.
Lucini insiste ma il suo appello non sembra arrivare molto lontano. Già l’amministratore delegato di Pedemontana - il progetto più ampio nel quale la tangenziale comasca è inserito - ha fatto sapere che non se ne parla: il pedaggio serve a finanziare l’opera, anche se non si capisce quale su finanziamento si potrà contare quando, a queste condizioni, i comaschi eviteranno accuratamente di usare la nuova strada.
Abbiamo già fatto notare come, di fronte a questi “niet” senza condizioni, manchi nelle istituzioni locali la capacità di strappare accordi favorevoli, di imporsi anche con prepotenza politica, di picchiare - come abbiamo sintetizzato - i pugni sul tavolo.
La risposta dell’amministratore delegato potrebbe passare, in un contesto diverso e a latitudini differenti, per giusta ed esemplare: quanti soldi pubblici sono stati buttati a fondo perduto in opere pubbliche, strutture smisurate e piani economici più o meno sballati? Giusto allora impostare il futuro su coordinate diverse, più economicamente solide e, come si dice oggi, sostenibili.
Tutto vero se non fosse per il fatto che, con il passare del tempo, Como, a differenza di quasi tutti i capoluoghi lombardi, è rimasta indietro di decenni in fatto di infrastrutture stradali e non solo. Mentre città di dimensioni simili si munivano di anelli, svincoli, tangenziali, peduncoli, bretelle e allacciamenti veloci, Como continuava faticosamente a condurre i suoi affari lungo arterie napoleoniche, incroci austro-ungarici, congestionati sentieri romani.
Il confronto più impietoso è quello con Lecco, centro dotato di un attraversamento in galleria giunto ormai da anni a sciogliere uno storico embolo stradale. Buon per Lecco, certo, e buon due volte, visto che nessuno ha mai chiesto ai lecchesi - e a chiunque si trovi a passare da quelle parti - una lira o un euro di pedaggio, così come nessun balzello è stato chiesto ad altri centri quando si è deciso di dotarli di strade che li aiutassero a snellire il traffico nei via via sempre più congestionati centri storici.
Non si tratta neppure di chiedere oggi per noi, in nome di un malinteso senso di equità, privilegi che non dovevano essere garantiti ad altri in passato: si tratta piuttosto di far notare come, dopo decenni di paralisi, anche Como abbia diritto a essere considerata e a ottenere quegli investimenti che, nel tempo, sono stati effettuati altrove. In questa luce, la richiesta di cancellazione del pedaggio non è una pretesa infantile e un poco micragnosa.
Si tratta della legittima domanda di strutture che consentano di vivere, lavorare e produrre. E pagare, in termini molto più efficaci per la collettività, un futuro ricco pedaggio al benessere e alla ripresa.
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