Mentre i nostri statisti lavorano alacremente alla nascita del nuovo governo e noi scriba dedichiamo ventisei pagine al giorno alle strategie di questi scienziati della politica - e poi dicono che uno si abbona a Netflix… - nella vita reale accadono cose pessime.
Il Comune di Roma ha fatto rimuovere, dopo soli due giorni di esposizione, un maximanifesto di sette metri per undici realizzato dall’associazione Pro Vita a sostegno della sua campagna antiabortista. L’immagine è facilmente reperibile sul web: rappresenta l’ecografia di un feto con un testo che ricorda che quello eri tu a undici settimane, tutti i tuoi organi erano presenti, il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento e già ti succhiavi il pollice. Frase finale: “Ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito”. A seguire, il logo e l’indirizzo del sito. L’immagine è sobria, le frasi fattuali, la campagna pubblicitaria richiesta, autorizzata e pagata secondo i tutti i crismi del Comune. Che però ha dato ascolto alle proteste del comitato di quartiere, secondo il quale il cartellone “mette in discussione il diritto di scelta delle donne”, e del Pd, secondo cui “difendere la vita con messaggi così crudi e violenti non appartiene alla storia delle donne, né della città”. Lo stesso municipio ha quindi rispolverato l’articolo del codice delle affissioni che vieta “esposizioni pubblicitarie dal contenuto lesivo del rispetto di diritti e libertà individuali” e poi effettuato la rimozione. Con tanti saluti all’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di espressione.
Ora, il tema non è essere d’accordo o meno con la posizione di Pro Vita e tanto meno fare carne di porco di questo tema drammatico, profondissimo, eminentemente etico che non può non toccare le coscienze di tutti, né buttarla in politica e brandire questo nuovo randello nel dibattito già fin troppo avvilente che ci regalano i cervelloni dei partiti vecchi e nuovi. No, qui il tema è di civiltà. Il tema è capire quanto pervasiva e fangosa e infida sia la dittatura del politicamente corretto, della censura omeopatica, del conformismo fariseo, del talebanismo salottiero che non combatte la visione degli antiabortisti. Molto di più: la cancella dall’agenda del dibattito, la azzera, la polverizza. Quella tesi, quella visione del mondo, del rapporto con il mistero che considera la vita sacra e intangibile a prescindere e quindi di proprietà di nessuno, né del padre né della madre, ma innanzitutto di se stessa e soprattutto di una presenza superiore che è l’unica depositaria della verità e del potere di dare la vita e di toglierla, bene, questa visione del mondo non ha diritto di cittadinanza. Il figlio è proprietà della madre, la madre può farne ciò che ritiene, la volontà del feto non è esprimibile e quindi non esiste. Punto.
E’ legittimo pensarla in questo modo, assolutamente. Esiste una legge dello Stato alla quale tutti si devono attenere e chi non la condivide può solo mettere in atto tutte le azioni civiche e politiche per proporne una revisione. E anche su questo non si discute. Ma la cosa intollerabile, inaccettabile, ignobile, una cosa che fa schifo, è il divieto a chi la pensa altrimenti – e del tutto legittimamente, vero? - di esprimersi. No. Quelli non possono parlare. Non possono dissentire. Non possono affiggere un cartellone a sostegno della propria tesi. E il fatto che la notizia della rimozione del manifesto sia passata sotto silenzio su quasi tutti i media italiani e su tutti quelli più “importanti” conferma a quale livello sia arrivato il dominio del pensiero unico medioprogressista e perbenista, l’appiattimento del giornalista collettivo e il trionfo del cretino collettivo all’interno della nostra teodemocrazia.
Chi decide cosa può essere detto e cosa no? Cosa può essere scritto e cosa no? Cosa è adeguato alla pubblica utilità e cosa no? Chi può sedersi a tavola e mangiare con forchetta e coltello e chi deve restare in cortile a lappare l’osso degli avanzi? Il consesso degli ottimati e dei teosofi della doppia morale? Il sinedrio del bene comune? I grandi inquisitori del migliore dei mondi possibili? E dove sono tutti gli eroi, i martiri, i partigiani della libertà di espressione, quelli che non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire? Dove sono le adunate di piazza, le onde emozionali, le matitine al cielo, i Je Suis Charlie e i #metoo e i girotondi e gli arancioni e il popolo dei vaffa e tutto il resto delle fregnacce con le quali tentano di illuderci che esista una comunità democratica e liberale e paritaria che dà voce a tutti e difende i diritti di tutti e uno vale uno e tutti valgono mille e bla bla bla? Farisei. Filistei. Sepolcri imbiancati.
E non è certo un problema specifico del sindaco Raggi - anche se le priorità del Campidoglio forse dovrebbero essere le buche e l’Atac, altro che il manifesto anti aborto - perché in (quasi) qualsiasi altro Comune sarebbe accaduto lo stesso. Perché questo è lo spirito dei tempi, questa la nostra cifra culturale, questo l’edonismo di massa che, vasta opera alla quale in tanti si sono applicati nel terribile Novecento, ha distrutto l’individualità, l’unicità, l’irripetibilità e, soprattutto, la sacralità di ogni singola esistenza, per uniformarla, triturarla e trasformarla in mera carne da macello del monopensiero massificato. Quei feti soppressi sono la nostra coscienza sporca, il nostro tabù, il nostro demonio che rode, briga e logora e chiunque ci abbia pensato con onestà o chiunque lo abbia vissuto lo sa. Quel feto fa paura. E’ per questo che non può essere esibito, esposto, mostrato. E’ per questo che deve essere cancellato. Ma è e rimane il nostro mistero, la nostra origine, il nostro silenzioso monolito. Sarà un caso, ma in questi giorni si celebrano i cinquant’anni di “2001: Odissea nello spazio”, capolavoro tra i capolavori di Stanley Kubrick. Bene, ripensate alla scena finale: avrete tutte le risposte.
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