Il premier rifiuti
le scelte dei 2 tempi

Maledizione degli ultimi governi é stata la cosiddetta teoria dei due tempi. Esiziale in particolare per Monti, che ha fatto prima gli interventi più severi e impopolari, spostando nel secondo tempo quelli di sviluppo. La cosa, come sappiamo, é finita male, perché questi ultimi non sono mai venuti. Letta, a sua volta, ha lavorato per la credibilità internazionale, ma rallentando interventi urgenti, e forti davvero, sul piano interno. Un comportamento definito “paludoso” dal segretario del suo partito. Ora tocca a quest’ultimo, il superveloce Renzi, ma anche lui rischia di cadere nella trappola dei due tempi.

Ha buttato tutta l’energia personale, e tutto il peso dello strabiliante 40,8%, innanzitutto sulle riforme istituzionali, per arrivare a fine agosto a presentare in Europa lo scalpo dello stravolgimento del Senato, dell’abolizione prospettica delle Province e del Cnel.

Speriamo che i partner europei apprezzino, anche se le riforme costituzionali richiedono ancora tempi lunghi. Ma soprattutto speriamo che alla maggioranza restino le forze per affrontare le riforme economiche e sociali, per ora solo abbozzate, e rinviate a disegni di legge o a norme attuative bloccate (l’on. Misiani ne ha contate 691!).

Ci sono in particolare due teste di ponte che richiedono di essere collegate all’altra sponda, e sono la delega per la riforma del mercato del lavoro (aspetta da febbraio) e quella fiscale (ancor più antica). Entrambe anticipate da interventi spot, per ora insufficienti però a cambiar verso.

Renzi dovrebbe avere il coraggio, questa è la nostra piccola opinione personale, di mettere in campo il progetto Ichino. Lì si che varrebbe la pena di giocare, come sul Senato, tutta la forza muscolare di un premier che ha in mano la carta della mancanza di alternative. Lì si, potrebbe stupire l’Europa, e dare un segnale che convincerebbe le imprese di poter avere dal Governo una copertura, prima di avventurarsi nell’aggancio alla difficile ripresa.

Quanto alla delega fiscale è il nodo più stretto. Tutto è ancora possibile, anche lasciar colpevolmente andare avanti la strisciante crescita della pressione che non si arresta , oppure chiedere sacrifici ulteriori. Ne fanno parte le minacce agostane sul contributo di solidarietà sulle pensioni cosiddette elevate.

Oppure bisognerebbe avere il coraggio di tagliare nettamente le imposte, aprendo la voragine di un fabbisogno di almeno 30/40 miliardi, da destinare a investimenti freschi e al sociale. Solo le cose nette possono innescare il cambio virtuoso del ciclo produzione-consumi-investimenti.

E, per coprire il grande buco delle tasse ridotte, bisognerebbe fare davvero quel che serve in termini di minor spesa pubblica (ma attenti, perchè anche qui, il pollo va spennato, non ucciso), e di alienazione di beni statali.

Strade diverse non ve ne sono tante. Forse lo sforamento del 3% del deficit, cui effettivamente si comincia a pensare, o l’ulteriore aumento del debito, accettabile - lo diciamo per paradosso, perchè siamo obbligati a ridurlo - solo se fosse almeno un aumento ragionato. Negli ultimi anni, dai tempi di Prodi, è cresciuto di 30 punti. Purtroppo, non per scelta, piuttosto per non scelta.

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