Va a finire che di questo passo potremo vantarci con il resto d’Italia di avere l’autostrada più cara (e, quindi, inutile) di tutto il Paese e i treni più lenti (o quasi) e meno puntuali di Lombardia.
Il prestigio, la bellezza e il fascino di Como suonano come slogan vuoti in bocca a certi politici e amministratori: sono decenni che promettono a uno degli angoli più emozionanti d’Italia infrastrutture all’altezza dell’indiscusso blasone internazionale (dalla Fifth Avenue di New York agli Champs-Élysée parigini pronunci Como e chiunque sa di cosa parli). Ma il risultato di tante parole è lì da vedere. Pedemontana e Tangenziale di Como. Le abbiamo sognate mentre eravamo bloccati in coda, quindi attese mentre litigavano sui tracciati e rifacevano i conti per i finanziamenti, e poi pagate profumatamente con i fondi pubblici che continuavano a crescere perché «l’opera è di primaria importanza» e infine, finalmente, assaporate. Giusto in tempo per vedercele nuovamente soffiare di sotto il naso. Tra meno di un mese se vorremo usarle le dovremo pagare a carissimo prezzo. E, fatti due conti, finiremo inevitabilmente per scoprire che qualche chilometro in più in coda conviene, rispetto al salasso richiesto da quel pedaggio. Finirà che l’opera di primaria importanza si trasformerà in un’opera di primaria inutilità. Un monumento - l’ennesimo - al paradosso italiano.
Ovviamente ci racconteranno che il pedaggio era già previsto, che se si vogliono le infrastrutture è impensabile averle gratis, che i servizi non possono essere regalati, che c’è la crisi (l’Italia peggiore non finirà mai di ringraziarla questa maledetta crisi!) e che gli automobilisti ospitateli a casa vostra (slogan buono per tutte le occasioni). Ma la verità è che solo la miopia di una classe privilegiata (che viaggia sulle auto blu e sfreccia sulle corsie preferenziali)può non accorgersi del clamoroso boomerang di aver previsto tariffe da sceicchi per strade e tangenziali che porterebbero un po’ di ossigeno non solo agli automobilisti ma soprattutto alle imprese.
C’è chi dirà: l’auto non è la soluzione. Come dargli torto. Ma se avessimo un sistema pubblico di trasporti all’altezza davvero credono che continueremmo a pagare la benzina a quei prezzi (i più alti d’Europa), le assicurazioni a quei prezzi (velo pietoso, please) e le tasse di circolazione a quei prezzi? Da qualche settimana a questa parte su queste colonne diamo conto dei disservizi della linea S11 di Trenord, quella che da Como San Giovanni porta a Milano e a Rho Fiera, cioè all’Expo. Non lo facciamo per far ingrossare il fegato ai cortesi - nonostante tutto - addetti stampa della società, quanto piuttosto per testimoniare il quotidiano inferno vissuto dai pendolari.
Soltanto ieri due treni cancellati e decine di ritardi superiori ai venti minuti, qualcuno addirittura di ben tre quarti d’ora, cioè il tempo che in un territorio produttivo ed evoluto come questo dovrebbe durare al massimo il viaggio tra Como e Milano. E poi c’è la statale Regina (che disastro la Regina!) e la Lariana (perfetta soltanto per le riprese del Giro di Lombardia) e la Statale dei Giovi ormai obsoleta. Parafrasando il titolo di una canzone di Bruce Springsteen «one step up, two steps back»: un passo avanti e due indietro. Un andatura da gamberi che relega Como, così come la Brianza e le sue aziende, a periferia dell’impero. Un ruolo che questo territorio, le sue bellezze, la sua storia non meritano.
Consoliamoci, però: non avremo strade e treni all’altezza, ma almeno quando ci voltiamo verso il lago gli occhi e il cuore si riempiono della vista... come dite? Lo scempio paratie? Va bene, avete vinto voi. Bandiera bianca.
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