Il dibattito imposto da Renzi sulle regole del prossimo congresso del Pd rappresenta l’occasione per capire il futuro della sinistra il cui rinnovamento passa anche dalla scelta della forma-partito. Sul piano storico occorre ammettere che marxismo e socialismo hanno plasmato in modo significativo la nostra cultura politica permeandola non solo del linguaggio ma anche delle modalità organizzative. La stessa Democrazia Cristiana ne mutuò le forme surrogando la componente ideologica con una chiara ispirazione confessionale al fine di contrapporre l’unità dei cattolici all’unità della classe operaia. Malgrado le incontestabili evoluzioni culturali, la sinistra non ha mai completamente abbandonato il suo modello originario. Infatti lo stesso Partito Democratico resta tuttora un partito a forte connotazione oligarchica che si fonda su un solido apparato che determina incarichi e carriere.
Nel Pd il “vero” confronto avviene nell’angusto perimetro del gruppo dirigente davanti al quale, come vuole la tradizione del “centralismo democratico”, la periferia suole assistere ossequiosa e silente. Sul versante opposto l’avvento di Berlusconi ha rilanciato la tipologia “weberiana” del partito carismatico nel quale il leader comunica direttamente con i propri elettori, senza “inutili” mediazioni di organi o apparati. Grazie alla televisione, abbiamo assistito alla trasformazione del paese in un’immensa agorà nella quale il leader non si limita a cercare il “semplice” consenso: nei generosi bagni di folla che gli vengono tributati, viene devotamente celebrata la sua incomparabile grandezza. In assoluta solitudine, il leader carismatico si ritiene, pertanto, libero di decidere destini e carriere. Il merito di Berlusconi è di avere imposto questo modello alla politica italiana di cui è riuscito a modificare sia l’etica che l’estetica. In questo senso, il berlusconismo costituisce un fenomeno politico e culturale che ha contribuito in modo determinante a spazzare via la vecchia egemonia della sinistra rimasta prigioniera di un linguaggio e di un universo simbolico estraneo alle nuove generazioni.
Con il suo immenso potere mediatico, occorre ammettere che il Cavaliere ha determinato anche la metamorfosi della sinistra che, con l’arrivo di Matteo Renzi, rischia ora di tradursi in una omologazione dai tratti beffardi e paradossali. L’avvento di Renzi rischia, infatti, di rendere evanescente l’identità e la capacità distintiva della sinistra che, in modo ecumenico, ambirà a rappresentare tutti i soggetti sociali, sostenendo velleitariamente tutto e il contrario di tutto. Proprio come Berlusconi, di cui Renzi è incline ad evocarne, spesso grossolanamente, stilemi e clichè.
In questa sorta di abbraccio universale che vedrà gli elettori di destra votare disinvoltamente per la sinistra, alla fine scopriremo che gli unici sopravvissuti alla morte della politica saranno solo due: il grande leader carismatico e la folla acclamante. Dopo Berlusconi, di tutto aveva bisogno la nostra politica tranne di doversi consegnare ad uno dei tanti “berluschini” di periferia. Il renzismo come fase suprema del berlusconismo è l’ennesima conferma che la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA