Sarà, ma quando è apparso il faccione da Fernandel dell’ex ministro Giovanardi che annunciava il viatico per il Letta bis, si è cominciato a capire tutto. Poi c’è stato il discorso del premier al Senato: “tanto è stato fatto, tanto ancora da fare”, con quell’abilità nel calibrare le parole e soprattutto i toni, a non affondare il pedale dell’acceleratore sul Cav condannato, senza però tendergli la mano.
Il velo è però caduto con l’accenno dall’età dell’oro dal dopoguerra al 1968. Un oro forgiato nelle fonderie di piazza del Gesù.
Di una due giorni della politica italiana degna della regia del Dino Risi de “I mostri” (basta pensare alle facce prima e dopo il triplo carpiato prematurato con scapp... a destra di Berlusconi), resta soprattutto questo: il grande ritorno della Dc con le due anime quella dorotea e quella morotea che si rinsaldano all’ombra di Letta e in nome dell’emergenza nazionale. Due componenti, la prima raffigurata dal premier medesimo, la seconda dal duo-trio Giovanardi-Formigoni con Casini, che si sono sempre prese a calci nel pancione della vecchia Balena, salvo poi spartirsi tutto lo spartibile.
Si era quasi arrivati a questo ritorno al futuro, balsamo peraltro subito benefico per borsa e spread, quando Berlusconi, come Fantozzi, ha realizzato al 75° del secondo tempo e ha tentato l’entrata in tackle per evitare la tenaglia che si stava chiudendo su di lui, ma che non si è certo fermata.
Perché ci voleva la Dc per chiudere il sipario sul ventennio del Cavaliere. Tutta la Dc, non i pallidi pezzetti del grande puzzle impossibili da incastrare nei due schieramenti. Per ora Berlusconi ha messo una toppa. La toppa della disperazione. La scommessa è capire se terrà. Perché se un fatto nuovo è accaduto ieri, in un Parlamento mai così macchiettistico nella sua ultrasecolare storia, è l’apertura di una fase politica destinata a scompanginare davvero questa volta le carte. Il futuro però è più ermetico e fumoso di un discorso di Aldo Moro. La capriola di Berlusconi fa capire che il vecchio leader intende combattere fino in fondo. Anche con i titoli di coda che ormai bussano alla porta di palazzo Grazioli.
Certo finché il Pdl restava spaccato in due come il Titanic durante l’affondamento, i neo Dc vedevano un’autostrada spalancarsi davanti. Ora con la fiducia comune ci sarà qualche ingorgo in più da superare. L’espressione di Formigoni prima (esultante) e dopo(attapirata) la svolta berlusconiana è la fotografia migliore della situazione.
Sapremo presto però se davvero ci toccherà di morire democristiani. Espressione che in questi anni è passata da esecrabile ad auspicabile. Soprattutto per colpa di chi è arrivato dopo.
Nell’attesa di scoprire vivendo quel che ci aspetta, dopo una battaglia da Brancaleone alla Crociate, restano sul terreno l’aumento dell’Iva e una ripresa da afferrare se possibile con un governo il cui motto non sia “mettiamoci le dita negli occhi” continuo. Alla fine tanto rumore per nulla. Anzi no. Perché ne vedremo delle belle. Mai prendere sottogamba la Dc. Ciao Seconda Repubblica, mandace una cartolina. Non poteva che finire così, con gli stessi toni grotteschi con cui si la faccenda si è trascinata per un altro ventennio che non passerà alla storia italica come edificante. Domani è davvero un altro giorno. E nulla sarà più come prima nella politica.
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