Da due settimane fate finta di leggere l’articolo di fondo ma in realtà cercate notizie sul bimbo di Kate e William? Beh’, state, stiamo tutti sereni, siamo in ottima compagnia. Nel luglio del 1981 il matrimonio tra Carlo e Diana fu seguito in Tv da 750 milioni di persone, e già pareva un’enormità.
Nell’aprile del 2011, trent’anni e infinite rivoluzioni del costume dopo, gli spettatori del matrimonio tra il principe William (figlio, appunto, di Carlo e Diana) e Kate Middleton inchiodò allo schermo 2 miliardi di persone, milione più milione meno un terzo della popolazione mondiale. E adesso, via col sospiro per l’erede della monarchia inglese, che è nato, e dove è nato e come è nato… Se pensiamo che nel frattempo sono arrivati internet, Facebook, Twitter, i telefonini che fanno tutto e di più, i computer che ti stanno in tasca e insomma quel vasto universo digitale che permette di collegare tutti a tutto in ogni momento, e che potrebbe portarci assai lontano da Buckingham Palace e dalle sue balie, l’unica conclusione che possiamo trarre è questa: reale è bello. Anzi: è sempre più bello.
D’accordo: non dobbiamo esagerare. Perché poi, come ci ripetiamo per non cedere del tutto le armi, in fondo che c’importa di questi privilegiati vecchio stile e del loro mondo di palazzi e carrozze, alamari e troni? Però… Il processo di cui dobbiamo comunque prendere atto è che le vicende delle case reali europee, un tempo terreno di caccia dei soli “rotocalchi” e di lettori che non temevano di ostentare un certo disimpegno, venato magari di qualche nostalgia per il bel tempo che fu, sono oggi diventate una parte essenziale della narrazione popolare, capaci di animare il gossip più sfrenato come le pensose riflessioni di chi ancora cerca un filo in queste nostre pasticciate società.
Certo, anche i sangue blu nel frattempo sono un po’ cambiati.
Diciamo che, rispetto a qualche decennio fa, sono un po’ meno reali e un po’ più reality. La saga Diana-Carlo-Camilla-Dodi, con tanto di morte misteriosa a Parigi come in un grande giallo d’autore, ha indubbiamente contribuito, soprattutto perché maturata all’interno di una dinastia un po’ marmorizzata dalla tempra dell’ineffabile Elisabetta II, regnante da sessantuno anni e dodici primi ministri di Gran Bretagna.
Ma il vero lavoro, nell’indebolire certe convenzioni e avvicinare le vite di principi e regine a quelle di noi poveri mortali, l’hanno fatto le dinastie del Nord Europa. Undici Paesi, sul continente, hanno ancora monarchi o principi più o meno regnanti: Andorra, Belgio, Danimarca, Lichtenstein, Lussemburgo, Principato di Monaco, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia e appunto Regno Unito di Gran Bretagna. Possiamo prenderli in giro e criticarli, ma quando tuo genero finisce in un brutto affare di fatture false, com’è successo in Spagna a Juan Carlos, non sei più un re ma un padre che ha sposato la figlia a un tipo incompetente o balordo. C’è un dramma più comune, più popolare di questo?
Per non parlare delle case reali del Belgio e dell’Olanda, veri modelli di monarchia contemporanea, al passo coi tempi. L’una e l’altra hanno risolto senza drammi, anzi con bonomia, la questione della successione. In Olanda tre mesi fa la regina Beatrice ha abdicato dopo 33 anni in favore del figlio Willem-Alexander, primo uomo su quel trono dopo 123 anni di regno femminile. Non a caso lui piace ai sudditi, ma più ancora piace sua moglie Maxima, un’argentina tutta vivacità latina. Stessa storia in Belgio pochi giorni fa: Alberto II, 79 anni, ha ceduto il trono al figlio Philippe, 53. Così, senza drammi, in famiglia, con un preavviso di sole tre settimane. Tutto il pathos affidato alle lacrime della regina Fabiola.
Che al momento decisivo, però, non pareva una regina che lascia la corte ma piuttosto una nonna che vede partire i nipotini. Commossa, mica disperata.
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