L’anno che verrà, per definizione dev’essere migliore. Figurarsi dopo una crisi che sembrava non finire mai e che in effetti non si potrà mai dirsi forse conclusa. Al termine di questo Salone del Mobile sorprendono e danno la carica diversi elementi.
Il record, certo, il nuovo incremento di visitatori. La provenienza, va bene: i mercati che si affacciano per la prima volta o con più intensità alla bellezza del made in Italy nel campo dell’arredo. Non è abbastanza, non è tutto qui. L’atmosfera, quella vissuta e quella riportata dalle imprese, dai giovani, da tutti coloro che hanno preso parte a questa sfida, la fiera del mobile per eccellenza, del mondo. Difficile da trasmettere proprio perché le emozioni non sono misurabili.
Ed è anche vero che dopo anni di crisi, qualcuno può affermare: le emozioni sono una bella cosa, ma anche labile. Archiviato il Salone, dissolta l’adrenalina, che ne rimane?
Bisogna ripartire da qualcosa di concreto. Ecco, in questa settimana abbiamo condiviso tanti momenti, assistito a diversi incontri significativi, assaporato quanto si riesce a fare ogni giorno nelle aziende, a partire da quelle brianzole. C’è però c’è una frase che ci colpisce, ed è quella che pronuncia Giovanni Anzani al termine del Salone. Riguarda i mesi che arriveranno, che scandiranno il 2016 e lo costruiranno. La frase, scolpita in parole pragmatiche: speriamo che sia un po’ come il 2015. Anzani è presidente di Assarredo e guida con i cugini un’azienda, che lo scorso anno non è solo risultata in linea con i dati - confortanti – generali di FederlegnoArredo. Ad esempio, la percentuale di crescita del mercato interno è doppia rispetto alla media. Può esprimere questa speranza come altri, e più di altri ancora. Ma osa farlo.
E ciò segna uno spartiacque rispetto a ciò che è alle spalle, anche se non passato: fragile, ma significativo. In questo ormai quasi decennio di sofferenza, si tentava un sorriso, quando compariva un segnale leggermente negativo di quello precedente. Per molti è ancora così. Ci sono settori come l’edilizia che lottano, si inventano nuove formule, osano anche parlare con prudenza di una ripresa in futuro, ma ne avvertono ancora la distanza.
La speranza espressa da Anzani racconta che qualcosa sta cambiando. L’hanno trasmesso, con questo Salone in grado di stupire, personaggi come Oscar Farinetti, capace di esplorare con curiosità gli stand, riconoscere il primato brianzolo e del settore rispetto persino al suo. O la magia del regista Matteo Garrone in un cortometraggio dedicato al classico. Di fronte all’ingresso di questo piccolo capolavoro, c’era spesso coda, giovani in testa. Ma ne sono rimasti colpiti anche gli imprenditori.
Il suo corto ha narrato un mondo che veniva salvato, contro la polvere, l’oblio, il tempo, e riconsegnato al futuro, se lo voleva. Da chi? Dai bambini. Fanciulli che si prendevano cura di ogni singolo pezzo creato da mani sapienti e lo mettevano al sicuro. Immagini che possono diventare un simbolo di un miracolo. Aver prodotto meraviglie e averle difese contro tante, troppe tempeste. Saper cogliere ogni raggio di sole e guardare il cielo, dicendosi: sì, speriamo ci sia ancora la pur minuscola luce che ci ha permesso di andare avanti e di fare ancora, di fare bene.
Un lavoro silenzioso, e che non ha quasi mai vetrina: lo mette al centro dei riflettori il Salone del Mobile, che ha dato spazio a duecento nostre aziende, ma in realtà a una miriade di micro imprese di questo territorio. Molti di quelli che escono da questa fiera, sperano in un anno migliore. Qualcuno già in un anno all’altezza del precedente. E questo può dare coraggio a tutti.
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