Sopprimere il Senato varrebbe, agli occhi di un elettorato esasperato, una medaglia al merito. Quando la riforma della Costituzione si misura sui sondaggi, al pari o più di un qualsiasi provvedimento, il senso stesso della Costituzione come norma di durata e patto tra generazioni è però perduto. Azione di governo e tessitura del patto costituzionale si sovrappongono pericolosamente fino a perdere i confini reciproci. L’invadenza del governo in un terreno che dovrebbe essergli pressoché precluso (quello costituzionale) è sintomatica di questa confusione.
Sia ben chiaro: la riforma del bicameralismo è possibile e anzi auspicabile. Il nostro bicameralismo, perfetto e paritario, è certamente razionalizzabile sia per differenziare le funzioni delle due Camere, sia per distinguerne il principio rappresentativo.
Nel merito, il progetto sostenuto dal governo appare per molti versi leggero. Si procede verso un modello di Senato federale, non elettivo, proprio quando le Regioni soffrono di una crisi di legittimazione senza precedenti, a causa degli scandali che le hanno colpite. Si arriva insomma senza convinzione a un Senato federale quando al federalismo sembra non credere più nessuno per davvero, tanto che, nello stesso progetto di revisione costituzionale, si ri-accentra il procedimento di produzione legislativa a vantaggio dello Stato e a danno delle Regioni.
Dal complesso scaturisce un’immagine di processi riformatori poco meditati e anzi improvvisati, la cui vera cifra riassuntiva, in fondo, è soltanto il taglio dei costi della politica. Una certa preoccupazione sorge quando si pensi all’effetto combinato delle prospettate riforme del bicameralismo e della legge elettorale (l’Italicum), perché avremmo il procedimento legislativo accentrato sostanzialmente su di una Camera formata con una legge al limite della costituzionalità.
In questo quadro, è davvero imperdonabile che l’obiezione culturale a questa riforma improvvisata rischi di confondersi con lo spirito più deteriore di conservazione di chi , più che preoccuparsi del senso e della coerenza della Costituzione, difende una propria rendita di potere.
È un peccato perché aprire una discussione vera e profonda sui canali percorribili della rappresentanza politica in vista della riforma del bicameralismo servirebbe eccome! Ripensare oggi il Parlamento significherebbe interrogarsi in profondità sugli elementi ricompositivi di una crescente complessità sociale, che sfugge sempre di più all’indebolita capacità di intermediazione dei partiti. Proprio per questo limite della rappresentatività mediata dal sistema partitico, non offre una soluzione migliore la proposta Chiti che riproduce il modello di senatori eletti su base regionale. Nemmeno dal progetto del governo emerge però l’intenzione di assumere questa complessità. Si cerca piuttosto di semplificarla, sospenderla, neutralizzarla. La proposta di soppressione del Cnel prende certamente atto di un fallimento, e tuttavia dovrebbe contestualmente aprire alla ricerca di nuove strade per la rappresentanza politica delle formazioni sociali. Ma di questo non c’è traccia. Insomma, se non si tratta di eversione costituzionale, certo è difficile sottrarsi all’impressione di una leggerezza costituzionale...
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