Misure antibullismo cercansi. La più gettonata - e già applicata alla secondaria di Prestino - è il “sequestro” preventivo del telefonino durante le ore di lezione. E la ragione è che pare sia lo strumento più utilizzato dai Franti (il bullo che, nel libro “Cuore”, «provoca tutti i più deboli») del terzo millennio. Se questa è la ratio, si consiglia di togliere tutti i water dalle scuole, visto che uno degli episodi più spiacevoli filmati con lo smartphone in un istituto comasco è finito con la testa della vittima infilata nel suddetto. In terza battuta, non resta che mettere i sigilli al luogo dove il bullismo pare proliferare più che in qualsiasi altro: la scuola medesima, naturalmente.
Si tratta di un paradosso, certo. Una di quelle considerazioni che, all’apparenza, sembrano assurde, ma magari, fermandosi a riflettere un pochettino, potrebbero rivelare una insospettata dose di verità. Già, perché, se davvero si vuole fare qualcosa per la dodicenne di Pordenone che ha tentato il suicidio, stanca di essere derisa da alcuni compagni, e per i tanti adolescenti di tutta Italia che come lei subiscono angherie dai coetanei, forse bisogna guardare un poco oltre il display o il monitor che più o meno tutti abbiamo davanti, giovani e meno giovani.
Se i bulli esistevano già ai tempi del libro “Cuore”, che Edmondo De Amicis pubblicò nel 1886, e anche molto prima - smanettando un poco sul demoniaco smartphone si scopre che il termine fu utilizzato per la prima volta in un libro del 1585 applicato a “bravazzi, spadaccini e sgherri di piazza” - forse il problema non è la tecnologia, ma chi la usa. E come. Può darsi che, aggiornando un proverbio che a partire dall’Antico testamento è stato adattato alle varie epoche successive, ne uccida più lo smartphone che la spada, complice l’effetto moltiplicatore dei social network e dei “mi piace”, però sono gli stessi strumenti che permettono di condividere le idee innovative e la creatività umana.
Pensando a quando a scuola andavamo noi, emergono dalla memoria figure di bulli fin dall’asilo, che spaccavano i giochi in testa ai compagni più minuti o emotivi nel luminoso atrio del Sant’Elia di Terragni, mentre crescendo ci sono mancate possibilità come quella di accedere a fonti di conoscenza pressoché illimitate, scambiarsi informazioni in tempo reale persino con i docenti e filmare quello che potevamo solo vedere o scrivere, consentite oggi da telefonini e tablet.
Allora, che fare davanti al dramma della ragazzina che i bulli hanno istigato al suicidio? Se vogliamo parlare di prevenzione e punizioni, non sarebbe male ricordarsi ogni tanto di applicare le norme che già esistono. Giusto per rimanere in tema di cyberbullismo, vale la pena ricordare che a marzo del 2007 assistemmo esattamente allo stesso “circo mediatico” di questi giorni, in seguito a un episodio di videobullismo ai danni di un ragazzino disabile in Piemonte, che si concluse con una circolare con cui ministro Fioroni vietava l’accensione dei cellulari in classe e invitava ad applicare sanzioni nei confronti dei trasgressori già previste dalla normativa precedente e puntualmente disattese (note e sospensioni, naturalmente, quando il problema comportamentale rimane in ambito scolastico, ma l’istigazione al suicidio del recente caso friulano è già un reato...).
Passando invece al campo, più interessante e potenzialmente produttivo, della prevenzione, ricordiamo una strada diversa intrapresa sempre a seguito dei fatti del 2007 a Como, sulla spinta dell’allora provveditore Benedetto Scaglione: il concorso “Ciakkare”, per video realizzati allora con il telefonino (oggi anche con tablet e videocamere, ché lo sviluppo della tecnologia ha reso alla portata di molti ragazzini), che in sette edizioni (l’ottava è partita in questi giorni) ha portato ogni anno più di cento video creativi, solidali e intelligenti ad essere visti, condivisi e votati sul sito de “La Provincia”. Video realizzati in diverse occasioni persino con la “complicità” di insegnanti che hanno capito che non è il mezzo, ma il suo uso, a fare la differenza.
Con lo smartphone si può uccidere un compagno fragile, ma si può anche svolgere uno splendido compito in classe. Chi non capisce questo e si limita a guardare il dito che preme sul display, avrà lo stesso successo dello stolto che non vedeva la luna, ma solo l’indice di chi cercava di mostrargliela.
«A scuola bisogna entrare con il sorriso. Questo è importante. Se non accade, vuol dire che qualcosa non va». Così diceva il compianto Scaglione. Qualche superiore del mistero allora lo derise e lo attaccò. Oggi, se gli insegnanti avessero fatto caso al sorriso scomparso da tempo dal viso della ragazzina di Pordenone quando entrava in classe, non saremmo qui chi a invocare leggi repressive, chi a sequestrare telefonini e chi a scrivere editoriali. E, soprattutto, la dodicenne vittima dei bulli (con o senza prefisso cyber) non avrebbe spiccato il volo dalla finestra della sua cameretta.
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