Chi ha più anni di quanti vorrebbe averne, ricorderà senz’altro un cartone animato dal titolo “Mr. Magoo”. Protagonista - il signor Magoo, appunto -, un facoltoso pensionato, piccoletto, calvo e soprattutto tremendamente miope. Difettoso nella vista, il nostro non mancava d’intraprendenza: se ne andava in giro tutto solo per la città, nonostante non potesse vedere, come si dice, a un palmo dal naso. Correva pericoli di ogni sorta e incappava in disavventure inverosimili, ma ne usciva sempre indenne e sovranamente inconsapevole: perduto nella sua densa nube visiva, non si accorgeva mai di nulla. Magoo, abbiamo detto, era un pensionato. Curioso notare come, al giorno d’oggi, egli raccolga infiniti epigoni nelle giovani generazioni. Le quali, per fortuna, la vista ce l’hanno buona: il raggio d’azione, però, se lo limitano artificialmente affondando le pupille nello schermo degli smartphone. È facile sorprenderli, i ragazzi, specie la mattina: cuffie piantate nelle orecchie, procedono lungo il marciapiede fissando il telefonino e attraversano la strada senza mai staccare da esso lo sguardo; eccoli alla fermata: attendono il bus inchiodati allo schermo e così rimangono anche quando il mezzo arriva, il che non impedisce loro di salire con la massima disinvoltura. Non c’è panorama che possa distrarli durante la corsa e neppure al momento della discesa fanno cenno di spostare gli occhi: arrivano a scuola che non hanno percorso chilometri ma superato livelli di Candy Crush, non hanno attraversato incroci ma strapazzato rivali di Clash of Clans.
Strapparli allo smartphone durante le ore di lezione deve essere sembrata, agli insegnanti, un’impresa impossibile. Ecco perché in un istituto superiore di Como, il “Giovio”, si è pensato di lasciarli fare. Anzi, di incoraggiarli.
Se non puoi batterli, diceva qualcuno, unisciti a loro. Con questa mossa, i “prof” del Giovio sperano di trasformare i telefonini da ordigno di distrazione individuale (e di massa), in strumento didattico e di ricerca, come potrebbe essere un dizionario, un normale computer collegato alla Rete o, naturalmente, il più collaudato ed efficace di tutti: il compagno di banco da cui copiare.
Scherzi a parte, i docenti non hanno torto. Come chiedere ai ragazzi di rinunciare a un oggetto che è ormai entrato in pianta stabile nelle vite di tutti? Predicare - e praticare - l’astinenza da telefonino in classe non sarebbe forse un’operazione un tantino forzata, un esercizio di sobrietà informatica fine a se stesso? Non potendo staccare lo studente dall’apparecchio, l’insegnante ha deciso di affiancarsi al ragazzo mentre lo usa, circoscrivendo l’intervento della tecnologia al supporto didattico.
Immagino sia una scelta obbligata ma finanche intelligente: forse i ragazzi si convinceranno che il telefonino non è soltanto la scatola magica della distrazione, quella che a comando li proietta nel mondo dei giochi, della musica e dei messaggi, ovvero nell’universo circoscritto delle loro relazioni, ma anche un minuscolo portale della conoscenza, un mezzo per soddisfare alcune curiosità e stimolarne altre, per approdare a nuove passioni e coltivare nuovi interessi.
La decisione del Giovio è dunque lungimirante ancor prima che opportunistica. L’importante è che in ogni insegnante rimanga il desiderio di trasmettere alla classe qualcosa che, senza filtri informatici, provenga direttamente dalla sua esperienza e dalla sua cultura, dalla sua sensibilità personale e dall’osservazione anche soggettiva. Qualcosa di così bello e di così vero da far alzare la testa ai ragazzi.
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