Il teorema delle strade
e la nostra tangenziale

C’è un pezzo di Pedemontana che funziona. Non la tangenziale di Como, sia mai, ma la Pedemontana propriamente detta, che al momento – e chissà fino a quando - porta da Cassano Magnago a Lomazzo (tratta A) e da Lomazzo a Lentate sul Seveso (tratta B1). I dati positivi sono stati diffusi dalla società Pedemontana che ha costruito e gestisce la nuova A36: fra Lomazzo e Lentate i transiti sono destinati a superare le previsioni, mentre sta andando meglio anche l’utilizzo del tratto A, nonostante il pedaggio dal primo novembre. Per la Lomazzo-Cassano i transiti restano inferiori alle attese ma, riferiscono i gestori, il diagramma indica una crescita.

Siamo soltanto agli inizi per cui tutto va ancora preso con le pinze, e soprattutto, occorrerà fare una verifica da febbraio, quando spariranno esenzioni e sconti per chi ha aperto il “conto targa”. Ma se l’opera dovesse funzionare sarebbe una buona notizia. Per Pedemontana, per gli automobilisti che hanno scelto di usarla, per i paesi sgravati dal traffico, per le aziende che risparmiano tempo e denaro e per noi contribuenti, che abbiamo in qualche maniera partecipato al finanziamento di un’opera da tutti definita “privata” ma che privata lo è fino a un certo punto.

Sia pure senza dati definitivi, non dobbiamo stupirci se la Pedemontana “bassa” funziona. In effetti, nonostante i pedaggi e un sistema di riscossione tutto da rodare, la nuova A36 un senso ce l’ha, perché fornisce un’alternativa a una Comasina ormai alla paralisi e avvicina il Canturino, la Brianza e la loro miriade di piccole imprese al sistema autostradale, a Malpensa e alla Svizzera.

Non occorre scomodare Boskov (“Autostrada è quando auto ci passa”) per dire che se una strada è utile gli automobilisti ci vanno, anche se devono pagare il pedaggio. Se ci vanno è perché il vantaggio è superiore al costo. Lo stesso banalissimo teorema spiega perché la tangenziale di Como resta deserta, indipendentemente dal boicottaggio: la sproporzione tra utilità e prezzo è tale da renderla in pratica inutile.

Il ragionamento sarebbe diverso se la tangenziale di Como, anziché fermarsi nei prati dopo 2.400 metri, proseguisse fino ad Albese in galleria, come prevedeva il secondo lotto. Lotto progettato, già costato qualche milione di euro, che la premiata ditta Formigoni&Cattaneo aveva rinviato sine die e che l’attuale amministrazione regionale Maroni ha scelto di cancellare dalla pianificazone urbanistica nel dicembre scorso, grazie anche al voto di due consiglieri comaschi: Dario Bianchi e l’onnipresente Daniela Maroni. Il tutto fornisce un tono grottesco al tira e molla del Pirellone di questi mesi («togliamo il pedaggio, anzi no, ci saranno sorprese, anzi no, si deve pagare, non si deve pagare, evviva gli sconti, affari vostri») e allo scaricabarile nei confronti di Roma. A questo si aggiunge un paradosso: la Regione nel dire no al tunnel aveva indicato un possibile percorso alternativo predisposto dalla Provincia rimasto del tutto virtuale. Con il risultato che se qualcuno volesse costruire lungo questo tracciato, ora potrebbe tranquillamente farlo. Senza pagare il pedaggio.

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