Siete di Como? Il lampo di ammirazione negli occhi non c’entra con lo sfrecciare della moto di George Clooney. O con le atmosfere da sogno del lago, che pur sono da tenere strette e difendere.
A Londra l’ha percepito il presidente dei Giovani industriali Marco Taiana: l’inchino è ancora rivolto a ciò che Como sa produrre, alla sua creatività, alla magia tramandata di generazione di in generazione.
Como vista quasi come la grande mela, il luogo delle opportunità, dove si può assaporare un modo di lavorare e far nascere meraviglie. Dove l’esperienza in un’azienda è qualcosa di unico, un seme che continuerà a fiorire nel corso della propria carriera.
I tessuti di Como, la sua seta, i suoi colori ricercati nel mondo: un incantesimo che ha rischiato di rimanere soffocato nella crisi solo pochi anni fa.
Perché quella cappa scura è scesa su questo distretto prima degli altri e poteva trasformarlo nell’inizio della fine.
Così non è stato, e il bello è proprio questo. Che Como lo sa, perché nelle sue aziende la scommessa continua e varca ogni confine, perché i suoi giovani hanno recuperato più fiducia e le loro testimonianze - dal Setificio ai luoghi di lavoro - parlano chiaro.
Ma a volte quasi non osa dirselo, perché scottata, perché ha di fronte i mille ostacoli disseminati sulla via. Come altri settori, certo, il distretto del tessile lariano conosce gli ingredienti di questa nuova fase. E non gli sfuggono neppure i limiti: prima di tutto, la solitudine.
Un tessile che non riceve la minima attenzione, nemmeno vaghe tracce di aiuto che altrove sono la regola, scontate. Un made in Italy di cui si parla con tanto orgoglio, ma che non riceve la minima tutela e così, senza corazza alcuna, va a combattere in terreni aspri dove gli altri usano mille - e scorrette - armi per difendersi.
Questo percorso minato è visibile per i comaschi che preferiscono non parlare di ripresa o di sogno. Che, a dire il vero, non preferiscono pronunciarsi affatto, impegnati a mantenere e rafforzare questi segnali preziosi per il futuro.
Ma possono sorridere, attraverso le parole del mondo. Quelle di una città come Londra, che non vede l’ora di esplorare le imprese lariane e viverne i segreti. Dei Paesi che da poco si sono affacciati oltre i propri confini e nell’apprezzare il made in Italy per la seta sanno dove andare, dove cercare.
Non è un incontro automatico, perché i nostri imprenditori - come rileva Taborelli - non sono mai rimasti in azienda ad attendere che terminasse la tempesta. Hanno continuato a comportarsi come in passato, andando alla ricerca dei mercati perduti o esitanti.
Sono rimasti se stessi, nonostante l’aria fosse gelida e le Cassandre assicurassero che tutto stava svanendo. Con la vecchia formula - talento, sacrifici e valigia in mano - hanno tracciato un nuovo corso per un distretto che aveva già diffuso la sua fama nel mondo. E non era andata dimenticata: bisogna solo crederci e ascoltare quello che gli altri affermavano di loro.
Meraviglie, come quelle che il tessile lariano sa ancora far affiorare. Meraviglie che stridono contro il telo cupo delle condizioni in cui si lavora ogni giorno, in questo Paese.
All’estero questo sembra un sogno, perché non si rendono conto della cornice in cui questo quadro viene dipinto. Qui ne siamo purtroppo consapevoli. Ma di fronte a quell’ammirazione conquistata ogni giorno, si è tentati di sognare a nostra volta, almeno un poco.
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