Come era prevedibile, il tramonto politico di Silvio Berlusconi ha provocato nella destra italiana un corto circuito che, rimasto latente per anni, nelle ultime settimane è esploso in modo perfino farsesco. Le elezioni comunali di Roma stanno facendo emergere tutte le anime di uno schieramento che, sotto l’egida del Cavaliere, aveva saputo occultare la propria sostanziale eterogeneità. La verità è che lo stato confusionale della destra italiana affonda le radici in quella sorta di ecatombe culturale che ha rappresentato il berlusconismo negli anni in cui è stato in auge. Il Cavaliere, con il suo dozzinale corredo mass-mediatico, ha fatto strame degli antichi valori dei moderati italiani, storicamente improntati al rigore etico, al senso del dovere e al culto della legalità.
Questo nobile bagaglio è stato demolito e vituperato in nome di una leadership che, proiettata a riempire le piazze plaudenti, ha colpevolmente ignorato il vuoto culturale che ne sortiva. Per questo motivo, la fine del Cavaliere ha determinato l’implosione della destra e, di riflesso, lo spettacolo indecoroso di questi giorni: un campo di Agramante, pieno di faide e veleni, che finisce per alimentare lo smarrimento di tanti elettori che vagolano confusi alla ricerca di un nuovo approdo. A questo proposito, occorre segnalare un dato che conferma il vuoto culturale che si diceva: la collocazione, incoerente e variegata, del vecchio elettorato berlusconiano. Infatti, alcuni elettori sono attratti da Renzi, altri da Salvini, altri ancora dalla Meloni o dal Movimento 5 Stelle: nulla di più contraddittorio e, politicamente, incongruo.
Sarà anche triste ammetterlo ma questo è ciò che resta del berlusconismo: una destra sbrindellata e squinternata che pencola, smarrita, tra le varie forme di populismo oggi dominanti nel paese. Da questa crisi della destra italiana emergono taluni profili che, ad un’attenta lettura, risultano perfino inquietanti. Ad esempio, da più parti si inizia a nutrire qualche dubbio sulla piena lealtà di Berlusconi come alleato all’interno di una coalizione di destra. Sono in tanti a credere che il Cavaliere stia giocando su più tavoli, spinto dalle sontuose dimensioni dei suoi interessi e dall’amicizia antica con tanti transfughi verdiniani. Del pari, ci sono altre ambiguità che rendono complessa l’interpretazione dei fatti di queste settimane. Da una parte per il “lepenismo” e, dall’altra, per gli echi che giungono da oltreoceano (Donald Trump), diventa sempre più concreto il rischio che possa materializzarsi una convergenza, del tutto inedita, tra le varie componenti xenofobe esistenti nella destra italiana.
Dalle rovine del berlusconismo, pertanto, non è da escludere possa prevalere quella destra anticapitalistica e antieuropea che vanta tutte le credenziali per attrarre nella propria orbita la rabbia di una parte consistente del corpo sociale. Con un minimo di onestà occorre ammettere che anche questo fa parte del lascito del Cavaliere a cui va imputata la grave colpa di non avere fatto nulla per far nascere una destra moderna, liberale ed europea. Troppo facile, ora, dare del “fascista” agli alleati di ieri: facile e, perfino, un pò patetico.
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