C’è una città che crede in Expo e si prepara al 2015, a suon di progetti e investimenti. In tempi di crisi feroce, assomiglia a un albero che continua a gettare fuori idee come germogli per accaparrarsi più turisti l’anno prossimo e in quelli successivi ancora.
Un albero, però, i cui rami sono stati tagliati costantemente, e non si può certo parlare di benefica potatura. L’aumento delle tasse e l’introduzione di nuove imposte ha rappresentato una ferita pesante per le piccole e piccolissime aziende che ogni giorno cercano di far tornare i conti. E che nel tentativo di sopravvivere giovano a Como, alla sua immagine, alla sua vivibilità.
Una responsabilità sociale, di fatto, che dovrebbe essere ricambiata. Che dovrebbe essere sostenuta, o almeno - in periodi cupi per tutti, anche per le amministrazioni locali - non scoraggiata. Per questo motivo alzare i costi del canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche - come ha proposto l’assessore Gisella Introzzi nell’ambito di una serie di modifiche al regolamento - sarebbe un colpo fatale. E il sindaco Mario Lucini sembra averlo compreso, visto che già da settimane se ne discute ma non si è arrivati nemmeno al voto in giunta.
È come afferrare l’ultimo ramo, non in perfetta forma (non è che finora non si sia sborsato proprio nulla, su questo fronte), e tagliarlo, senza tenere in considerazione un aspetto fondamentale: è quello su cui si è seduti, praticamente l’unico, e si rischia di cadere nel vuoto.
Dal punto di vista economico e da quello psicologico, perché davvero le piccole imprese non ne possono più. Il bar, il negozio, la stessa bancarella che non si può guardare con supponenza perché offre un servizio e attira il turista: tutti insieme hanno già dato, e moltissimo.
Se si ricorda la marcia di commercianti e artigiani lo scorso anno per le vie di Como, fece notizia proprio perché in genere, queste categorie in piazza non ci vanno. Invece, alzarono pubblicamente la voce e i negozianti in particolare portarono al prefetto il libro nero, raccogliendo una marea di messaggi per gridare basta alla burocrazia e ai balzelli. Questi ultimi, introdotti e cresciuti a livello nazionale, ma a livello locale purtroppo la musica non è stata molto diversa, sulla scia delle difficoltà di bilancio.
Ne ricordiamo alcuni, dei messaggi inviati a Confcommercio: « Se il clima e tutto il sistema vanno avanti in questa situazione, mi dispiace ma io getto la spugna con tutte le conseguenze che derivano da una chiusura di un’attività storica». O ancora, il grido: «Stiamo chiudendo. Per colpa di chi?».
È trascorso un anno, ma non si è visto alcun miglioramento. Anzi la mole di impegni e versamenti è aumentata ed è stata accesa pure la miccia della Zona a traffico limitato.
La tassa di soggiorno è apparsa come l’ennesimo schiaffo, anche perché i soldi incamerati (circa 700mila euro) non sono stati facili da spendere, per i soliti vincoli. Ora almeno una parte di questo capitolo è stata investita sul turismo, come per l’infopoint, ed è un buon segnale. Che non si può vanificare.
I turisti di Expo potranno contare su tutte le informazioni, ma se passa l’ennesimo aumento di un’imposta come quella dell’occupazione del suolo pubblico, rischiano di trovare una città con meno negozi, meno bar. Insomma una Como più povera. E quegli stessi stranieri che si presenteranno desiderosi di godersi la città, difficilmente torneranno: proprio il pericolo che si vuole scongiurare con tutti gli sforzi profusi dal territorio.
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