Un breve articolo pubblicato appena qualche giorno fa nell’edizione online di questo giornale si è distinto per lo straordinario numero di commenti che ha raccolto. Di solito ciò accade quando Clooney mostra se stesso (e la sua fiamma) sul lago di Como e quando il sindaco aumenta le tasse: dunque, abbastanza spesso. In questo caso, è accaduto per una circostanza molto diversa: un incidente stradale.
Per la precisione, l’articolo riferiva di uno sconto di pena concesso in appello a un guidatore colpevole di aver investito un uomo, uccidendolo, abbandonando subito dopo la scena dell’incidente. Non era stato possibile, argomentavano i giudici, provare che il guidatore in quel momento fosse ubriaco: per questa ragione, gli anni di carcere scendevano, grosso modo, da cinque a quattro. Come è facile immaginare, la quasi totalità dei lettori – di quelli, comunque, colpiti dalla notizia al punto da lasciare un messaggio - non apprezzava la decisione: la vita spezzata e la vigliaccheria mostrata nella fuga non meritavano comprensione. La pena, semmai, avrebbe dovuto essere più alta.
In verità, dal tono e dai contenuti forcaioli di parecchi messaggi è doveroso prendere le distanze. In molti, purtroppo, si intuiva l’accanimento e l’esaltazione che nascono nella folla non appena le si fornisce un colpevole, non importa quale. Ma se tutto questo non ci appartiene e non desideriamo condividerlo, il sentimento di indignazione che cova sotto i commenti merita invece una certa considerazione.
La cronaca di queste ore ci consegna due casi diversi che, se i riscontri delle indagini saranno confermati, sono conseguenza di comportamenti stradali inaccettabili: la guida in stato di ebbrezza (di cui è accusato l’uomo al volante dell’auto che ha travolto e ucciso il giovanissimo Alex Consonni di Brenna) e l’omissione di soccorso (per la quale è stato denunciato un giovane di Cogliate, responsabile del ferimento di un ciclista di Rovello Porro). Molto in questi anni è stato fatto in termini di prevenzione, controllo e repressione per combattere questi comportamenti. Da un punto di vista statistico, molto è stato ottenuto. Non abbastanza, però, per registrare un radicale cambio di mentalità: mettersi al volante dopo aver bevuto non è ancora un tabù sociale invalicabile, così come scappare dopo un incidente stradale, per quanto sia un comportamento largamente biasimato, ancora può accadere se, nell’educazione di ognuno, i concetti di responsabilità e di solidarietà sono ancora meno che indiscutibili.
Leggere commenti volgari e violenti è sgradevole e sconfortante. Ma una volta che li abbiamo condannati, rifiutati e, in qualche caso estremo, perfino censurati, sarà il caso di rifletterci sopra. In modo distorto e con un linguaggio inaccettabile, rappresentano il confuso tentativo della società di affermare un necessario tabù: ai comportamenti che mettono in pericolo la vita altrui si risponde con una sorta di radiazione morale dalla collettività. È proprio qui che deve inserirsi la ragione, sotto forma di regole, leggi e controlli. Essa deve affermare in modo civile ed equo, ma con maggior chiarezza e durezza rispetto a quanto accade oggi, ciò che quelle pulsioni di giustizia urlano sguaiatamente: guidare ubriachi è una cosa che, semplicemente, non si fa, così come non è accettabile scappare dopo un incidente, non importa quanto il nostro istinto e la nostra paura ci spingano a farlo. In entrambi i casi dobbiamo sapere che le conseguenze ci saranno e saranno serie: prima di tutto a danno della nostra coscienza.
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