E’ tempo di nomine nelle grandi imprese pubbliche e si comincia con Finmeccanica, forse la realtà più importante e più internazionale nel sistema delle partecipazioni statali - soprattutto la più delicata, sia per i settori in cui opera (aerospaziale e difesa), sia perché negli ultimi tre anni ha perso ben due capi azienda, allontanati perché accusati di false fatturazioni e corruzione internazionale. Il governo Letta sembrava ben intenzionato, avendo elaborato un’articolata procedura per la scelta dei manager pubblici, individuando vincoli precisi nella scelta dei candidati, fra cui non avere avuto incarichi politici nei dodici mesi precedenti la nomina. Finmeccanica, insomma, era l’occasione ideale per il governo Letta di provare che sugli incarichi nelle imprese pubbliche si era voltata pagina.
Ecco i risultati. La presidenza va al prefetto De Gennaro, grande poliziotto, ma sottosegretario fino a pochi mesi fa nel governo Monti e, particolare non secondario, nessuna esperienza industriale, tanto meno in settori high tech come quelli in cui opera Finmeccanica. Amministratore delegato viene confermato Pansa, per anni e fino a poco tempo fa responsabile della finanza e dei bilanci del gruppo. A Pansa, l’uomo responsabile dei conti e dei pagamenti in Finmeccanica, si potrebbe rimproverare di non essersi mai accorto di quello che succedeva in azienda, fatti la cui gravità è costata la testa di ben due dei suoi capi, Guarguaglini ed Orsi. Date le circostanze, non sarebbe stata meglio una soluzione di continuità e nominare un nuovo amministratore delegato? Fra l’altro, Pansa è uomo di finanza.
Parliamo ora di made in Italy, caposaldo del nostro orgoglio nazionale. Qualche giorno fa abbiamo letto che la famosa Pasticceria Cova è stata acquisita da Lvmh. A quell’annuncio è poi seguito quello dell’acquisizione di Loro Piana, sempre da parte del gruppo francese. Si tratta di un’azienda leader di mercato, conosciuta in tutto il mondo e di proprietà familiare. Ed è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di acquisti di marchi italiani da parte dei francesi: Bulgari, Pomellato, Fendi, Gucci, Emilio Pucci, Bottega Veneta, Sergio Rossi e Brioni sono alcuni dei nomi comperati, nel corso degli ultimi dieci anni, dalle multinazionali francesi del lusso, Lvmh e Pinault.
E che dire della Fiat? Nel mese di giugno, la quota di mercato dell’azienda torinese in Italia è scesa dal 30% al 27%. Abbiamo poi saputo che la Fiat ha quasi raddoppiato la propria quota in Rcs, portandola al 20%, diventandone così il principale azionista. Il minimo che si possa dire è che quello della Fiat è un investimento coraggioso, viste le condizioni disastrose in cui versa la Rizzoli. Difficile capire però la logica di questa operazione e le ragioni per cui risorse preziose vengano distratte dall’auto per l’editoria.
Ci siamo chiesti quale sarebbe la reazione di Marchionne se gli dicessero che la General Motors ha deciso di acquisire il 20% del New York Times? Sicuramente, la troverebbe priva di senso. Oppure, l’acquisto del Corriere ha lo scopo di evitare che circoli sulla stampa una delle più belle battute che abbiamo sentito sull’amministratore delegato della Fiat. Voi, comprereste un’auto nuova da Marchionne?
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