La chiave di Volta
per salvare Como

Como, 8 luglio 1899, un furioso incendio devasta 15mila metri quadri di padiglioni delle Celebrazioni voltiane: in un mese vengono ricostruiti e il 20 agosto si festeggia la riapertura. Como, 3 luglio 2014, due metri quadrati di intonaco, spessi dieci centimetri, si staccano dalla galleria al primo piano del Tempio dedicato all’inventore della pila e a quasi due anni di distanza l’assessore alla Cultura annuncia che: «A breve la soprintendenza dovrà fornirci una serie di indicazioni operative per le quali è previsto un altro anno di osservazione». Trovate i dettagli nelle pagine di cronaca. La sostanza è che per la terza estate consecutiva il museo più visitato di Como, nonché il dettaglio più tangibile del suo essere la città di Volta, resterà chiuso per metà.

Un segno dei tempi? Una metafora del periodo crepuscolare che stra attraversando questa “figlia” del luminoso inventore? L’ennesima vittoria della burocrazia sul buonsenso? Si potrebbero dare svariate letture, spargere dosi massicce di ironia, ma alla fine dei conti sarebbe come sparare sulla Croce rossa. Il sindaco ha già alzato le mani: non si ricandiderà. Non riconcilierà la città con il suo lago e nemmeno con le colline circostanti (esplorare, per credere, tutto ciò che sta crollando dalla salita - agli onori delle cronache giudiziarie - Peltrera in su), non darà un’identità a piazza Cavour, ai giardini o alla cittadella dello sport, non farà ricomparire in Ticosa nemmeno il capiente spazio espositivo che il suo predecessore aveva demolito con i fuochi di artificio, non lascerà alla città una moderna sala polifunzionale al posto del Politeama, né poserà la prima pietra del campus atteso da trent’anni, men che meno riuscirà a far spostare la Guardia di finanza dall’ex Casa del Fascio per trasformarla in museo di se stessa e del Razionalismo. Semmai sono le Fiamme gialle che, per un beffardo contrappasso, si sono allargate a “casa sua”. O meglio, casa nostra.

Ecco, qui sta la chiave... di Volta. Tornare a sentire Palazzo Cernezzi e la città tutta come casa nostra. Come i comaschi del 1899. Curarla con rispetto e passione. Coltivarne la memoria, immaginarne il futuro e darsi da fare per trasformare i sogni in realtà. Senza aspettare che facciano “i politici”, che non sono una specie aliena, bensì un’espressione di chi li ha scelti, sostenuti, votati, eletti. E anche di chi una visione di città ce l’ha e delle capacità le ha pure dimostrate, ma non si vuole impegnare troppo per la sua “polis”, perché “la politica è una cosa sporca”, ecc ecc. Le cartoline della campagna #rivogliamoilnostrolago sono un inizio di tutto questo. Ora, mentre legittimamente ci chiediamo se il sindaco, e noi con lui, riusciremo a rivedere il Tempio Voltiano nella sua interezza prima della scadenza di questa amministrazione, non dimentichiamo di continuare a cercare Volta e, soprattutto, il suo spirito curioso, attento alla bellezza e proiettato verso il futuro, in quello che ci sta attorno.

Dopo esserci riposati sulle funeree panchine della piazza dedicata allo scienziato - che se non altro sono le uniche dove si riesca a fare un poco di “salotto” (mentre nel cosiddetto “salotto buono” della città sono separate da distanze abissali) - andiamo a cercare Volta dove la collaborazione tra pubblico e privato ha fatto e sta facendo crescere un pezzo della Como del futuro: il Chilometro della conoscenza. A Villa Olmo, dove tra qualche giorno si inaugurerà ParoLario, c’è un busto di Volta e ancora aleggia lo spirito nei Nobel che qui si riunirono in suo onore nel 1927 (lo aveva colto Gianni Amelio, che riprodusse la scena ne “I ragazzi di via Panisperna”). Proseguendo verso Villa del Grumello si arriva nel vero cuore della città voltiana 3.0: qui, dove Volta fu tra gli illustri ospiti assieme al Foscolo che troneggia nel giardino in forma di statua, ha sede la Fondazione che porta il suo nome, si inventa da quattro anni il Festival della luce e con sempre maggiore frequenza si presentano e realizzano iniziative più o meno luminose. Senza soluzione di continuità si passa a un altro parco e alla prestigiosa sede di un’altra fondazione, quella intitolata ad Antonio Ratti, dove l’intelligenza e la creatività umana si manifestano persino tra gli alberi e i prati attraverso installazioni d’arte contemporanea.

Giusto per ricordare che la burocrazia, è vero, esiste, ma la si può anche correggere e limitare nei suoi danni con un poco di buonsenso, vale la pena rivangare la prima apertura del ponte che scavalca via per Cernobbio e che rappresenta il fulcro scenografico del Chilometro: correva l’anno 2012 e, a primo lotto di lavori ultimato ormai da mesi, il dirigente ora agli arresti domiciliari rifiutava di autorizzarne l’apertura per motivi di sicurezza (si era accorto che dopo il ponte c’erano le serre di Villa Olmo, fatiscenti da tempo immemore). Incombeva la passeggiata poetica che ParoLario aveva programmato da quando i lavori erano, per l’appunto, agli sgoccioli e rischiava di saltare. Finché uno dei progettisti ebbe la brillante idea: ditegli che è una visita al cantiere. Cinquecento persone credettero di partecipare a un percorso letterario e invece stavano visitando un cantiere. Possibile non si possa trovare un modo per riaprire provvisoriamente anche il Tempio Voltiano?

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