Il Sinodo dei vescovi non è caduto nella trappola dello scontro, del muro contro muro, del prendere o lasciare, del tutto o niente. Ciò che ha detto ieri il cardinale ungherese Peter Erdo su divorziati risposati, sulle unioni di fatto, sugli omosessuali nella relazione che ha chiuso il dibattito generale, va apprezzato soprattutto per la chiarezza del linguaggio.
Sicuramente non si tratta di prospettive facili. Ma il Sinodo è riuscito nell’impresa di documentare che la Chiesa non è dirimpettaia della Storia, non sta sul balcone a guardare la gente che passa, ma ci cammina a
fianco e partecipa alle gioie e ai dolori di tutti. La Chiesa coglie le sfumature per comprendere e per accompagnare. Bergoglio aveva indicato il modo, quando una settimana fa aveva sottolineato che non c’è nulla di cui non possa o non si debba parlare. I padri sinodali hanno scovato il metodo, senza inventare nulla. Hanno solo ripristinato nell’aula del Sinodo lo spirito del Concilio, cioè ascoltarsi, cercando i punti di convergenza sulla base di due concetti chiave, già sperimentati al Concilio, che hanno permesso al Vaticano II di non naufragare nello scontro tra progressisti e conservatori.
I concetti sono analogia e gradualità. Se al Sinodo si fossero discusse solo le tesi contrapposte andate in scena alla vigilia sarebbe stata una sfida all’ok corral. Forse qualcuno voleva che le cose andassero proprio così. Ma non è accaduto. Il Sinodo è riuscito a tenere insieme norme canoniche, riflessione teologica e prassi pastorale confutando e rifiutando l’argomentazione dei rigoristi, che nulla deve cambiare. Ma non è stato un referendum.
E’ innegabile che nella relazione del cardinale Erdo ci siano parole nuove e alcune assolutamente inedite, come quelle sulle unioni gay e non solo sui singoli individui omosessuali. Dire che la Chiesa “prende atto” che, “senza negare le problematiche morali commesse alle unioni sessuali”, “vi siano casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners” è qualcosa di assolutamente originale. E’ accaduto solo per la spinta di Jorge Mario Bergoglio oppure perché è questo lo spirito vero del Vaticano II? Il Concilio non poteva limitarsi a ripetere ciò che era stato detto sulla dottrina e sulla pastorale fino ad allora. E’ stato dogmatico e pastorale.
La stessa cosa sta avvenendo dentro e attorno al Sinodo, dove quasi nessuno ha scelto di dire che Dio non ha soluzioni per te e si cerca di capire invece cosa vuole Dio. Tutto va fatto senza la fretta di ottenere subito un risultato e senza stancarsi cioè con speranza. Intanto è stato allontanato il rischio di considerare autonoma la pastorale dalla dottrina, argomento utilizzato dai rigoristi per comprovare conflitti con la dottrina. Anzi paradossalmente il fuoco di fila delle settimane scorse ha favorito un dibattito più autorevole e responsabile su un punto sensibile, rimettendo al centro di ogni analisi il concetto e il metodo della gradualità, pedagogia ecclesiale abbastanza rimossa e identificata con il venir meno della dottrina. La svolta al Sinodo è avvenuta su questo modo di procedere.
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