Le speranze di una tregua si sono infrante contro un colpo di «ghigliottina» La maggioranza ha deciso di contingentare i tempi del dibattito al Senato sulle riforme per aggirare lo scoglio degli ottomila emendamenti presentati al testo del governo, ma l’opposizione ha replicato con un colpo a sorpresa: la marcia di oltre cento parlamentari verso il Quirinale, dove alcuni di loro sono stati ricevuti dal capo dello Stato.
Difficile dire quale sia stata la scintilla che ha dato fuoco alle polveri, ma certo il pericolo è che da questa battaglia non emerga un vincitore. I grillini, per esempio, dopo aver tante volte criticato Giorgio Napolitano, con la loro iniziativa ne hanno implicitamente riconosciuto il ruolo di garante del processo democratico e di tutor delle riforme. Lo stesso Matteo Renzi, che attacca i «signor no» e assicura che farà le riforme «piaccia o meno» con le sue direttive ha bruciato le ali dei pontieri, costringendo la Lega ad allinearsi ai 5 stelle. Come fa sapere infatti Roberto Calderoli, il quale spera ancora di avere qualche margine di manovra, sarà ben difficile che il Senato possa esprimere il voto finale entro l’8 agosto, semplicemente perché i regolamenti non lo consentono: anche con i tempi contingentati, gli ottomila emendamenti andranno votati tutti.
In realtà dietro il muro contro muro si intuisce un braccio di ferro che guarda al di là delle riforme. Il premier ha la necessità vitale di dimostrare all’esterno che tiene in pugno la situazione, soprattutto adesso che l’economia è tornata a peggiorare e non consentirà, come ammette egli stesso, di rispettare la previsione di una crescita del 0,8 per cento su base annua. E’ una prospettiva che dà corpo allo spettro evocato da Guido Crosetto quando invita le opposizioni a disertare il voto: «lasciamo Boschi e Verdini alle loro fandonie - dice - e vediamo se in autunno ci sarà questo grande effetto delle riforme sull’economia di cui parlano» .
Ci vorrebbe quella «iniziativa politica del governo» che invoca il pd Miguel Gotor, ma è difficile definirne i contorni. E’ chiaro infatti che l’esecutivo non può rinunciare al principio di maggioranza: una maggioranza peraltro ben più ampia della base parlamentare che lo sostiene (Marcucci). Come osserva Pierluigi Bersani, l’opposizione dovrebbe prendere atto che sulla non elettività del Senato la decisione è stata presa e dovrebbe lavorare su punti non di fondo, come le immunità e le firme necessarie per chiedere un referendum. Ma per ottenere questi risultati è necessario lasciare campo libero alla diplomazia: una scelta che rischia di appannare l’immagine decisionista di Renzi. Il ministro Boschi ha fatto sapere che l’accusa di Beppe Grillo a Renzi di uccidere la democrazia non regge perché la riforma del Senato sarà comunque sottoposta a referendum.
Una risposta che tuttavia si scontra con la dura realtà delle votazioni parlamentari che si potrebbero protrarre per tutto agosto, con le incognite del caso. I renziani hanno provato a minacciare la crisi e il ritorno alle urne, ma è un’arma a doppio taglio: infatti la decisione spetterebbe comunque a Napolitano e dimostrerebbe quella carenza negoziale che viene spesso rimproverata al Rottamatore. Il pericolo latente è quello di rafforzare le forze che remano contro la maggioranza, sia nel Pd che in Forza Italia.
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