La d come dannazione
Arridatece Preziosi

Nello spelling, per scandire bene le parole sarebbe: C come Como e D Come Domodossola. Ma oramai qui possiamo fare uno spelling tutto nostro: C come Costernati e, soprattutto, D come Dannazione. Leggere la sorpresa dei tifosi (peraltro legittimamente causata dall’amore per i colori azzurri) per l’esclusione dalla serie C, ci sorprende. Era tutto assai probabile. Abbiamo riportato in queste settimane il forte ottimismo dei proprietari del Como, ma non mancando di sottolineare lo status quo:la società voleva iscriversi senza un documento necessario. Come se uno si presentasse ad acquistare il biglietto della partita senza la carta d’identità: e in assenza del documento, chiedesse (per sbloccare la situazione) di pagarlo di più. Secondo voi come finirebbe? Il gesto di Felleca di mettere soldi cash al posto della fidejussione obbligatoria può far comprendere, certo, la sua rabbia e la sua delusione. Magari ci può far immaginare che i soldi per tirare avanti ci siano. Ma non sposta il problema: se mai nessuna società prima di ieri aveva provato a iscriversi senza fidejussione, una ragione ci sarà. Siamo addirittura in graduatoria di credibilità dietro a quelli con le fidejussioni farlocche, pensate un po’. Ed è tutto dire. Giusto? Sbagliato? Non è questo il punto. La parola giusta è: vietato. Punto. Il Como voleva far cambiare le regole. Un po’ ambiziosa come idea, specie in un calcio che guarda con sospetto ogni situazione zoppicante. In un clima da “muoia Sansone con tutti i Filistei”, tutti fuori anche solo con un raffreddore, il Como voleva che l’inserviente chiudesse un occhio. Ora proverà ad andare al Tar.

Ma noi vogliamo andare oltre. E fare una riflessione su come il Como sia tristemente sparito ormai dai radar calcistici. Sì, ci sono i nostalgici che ripetono come un disco rotto “Como è una piazza da serie B”, ma sembrano i due vecchietti sulla panchina del parco che agitano il bastone nell’aria. Serie B? Manon facciamo ridere i polli. Una volta, quando d’estate arrivavamo in spiaggia, ti sentivi chiedere magari della retrocessione B o di come sarebbe andata in C. Oggi ti chiedono: “Dove gioca il Como adesso?”. Se non addirittura: “Ma il Como gioca ancora?”. Spariti. Siamo come il Catanzaro, il Brindisi, il Casale, la Cavese: dispersi nella nebbia. Con l’aggravante di mandare ogni due per tre messaggi di precarietà: la fidejussione scritta con le carte del Monopoli del primo anno di Porro, la vicenda Essien, i fallimenti, ora questa. Ce n’è sempre una. Abbiamo un’etichetta che è dura cancellare. Siamo una città che sul pallone si muove a caso, dove il calcio non è importante e le istituzioni lo trattano come una cosa di poco conto.

Guardate l’uscita del sindaco Landriscina dell’altro giorno: come spesso succede nel rapporto tra calcio e politica su queste scene, un intervento formale, dovuto, ma poco partecipato. Certo, si diceva speranzoso del ripescaggio, ma sembrava più un atteggiamento di facciata, forse strategicamente messo a punto dalla squadra del Comune, arrivato troppo tardi e tra l’altro appoggiando genericamente una azione posizione fuori dai regolamenti. Il tutto dopo lunghi silenzi. Il calcio a Como non è una cosa seria, ed è questa una delle ragioni per cui siamo conciati come siamo conciati. Non è colpa di nessuno, ma per come ci si dovrebbe muovere oggi a sostegno del movimento,, tutto troppo finto, leggero, vago per poter sostenere un progetto vincente.

Non basta.

Abbiamo anche commesso il delitto di far scappare uno come Enrico Preziosi. E i treni possono magari passare una sola volta. Preziosi, tanto per essere chiari, ci ha fatto fallire apposta. Lo sussurrò appendendo il cappotto in casa, dopo gli sputacchi di Como-Udinese: «Il Como è finito». E il fallo di reazione nel calcio è più grave del fallo semplice. Ma il delitto fu prima.

Cosa c’entra Preziosi? C’entra, c’entra: per molti sarà il diavolo, ma il fatto è che dalla sua dipartita qui non c’è più stato nessuno a fare calcio vero. Un calcio mercato a caccia di stelle, di big e non un mercato tipo quello all’autogrill, con il tipo che ti mostra l’elenco della roba disponibile sul suo camion.

Dopo 14 anni, con tre fallimenti, fughe, Ciuccarielli ed Essien, fidejussioni mancanti, punti di penalizzazione, cinque campionati di serie D, ora lo possiamo dire forte e chiaro: mettendo le cose sui due piatti della bilancia, Preziosi ce lo riprenderemmo. Il primo Preziosi, quello che la città aveva già subito emarginato, ma che aveva conquistato tutti i tifosi. Quando se ne è andato, per tutti Preziosi sarebbe finito male, lui e le sue squadre. Ha tenuto il Genoa in serie A per più di un decennio , unico presidente a farlo nella storia dei rossoblù. Preziosi sarebbe andato via comunque? Probabilmente sì. Ma metterlo all’angolo è stato un errore.

Oggi siamo una città che parla a vanvera di stadio aperto sette giorni su sette ma non riusciamo ad aprirlo nemmeno la domenica, perché due settori sono chiusi e decrepiti. Come diceva la maglietta del settore giovanile, l’altro giorno? Benvenuti all’inferno! Ecco, appunto…

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