Matteo Renzi prosegue nella tattica del gioco al rialzo. Tattica rischiosa ma in qualche modo obbligata in considerazione degli ambiziosi obiettivi che il premier si è assegnato.
Lo scontro con Barroso sui vincoli di bilancio, parzialmente mitigato dai reciproci apprezzamenti dopo un faccia a faccia chiarificatore, dimostra la difficoltà della partita ingaggiata sullo scenario europeo. Il Rottamatore deve evitare innanzitutto di essere trattato come i suoi predecessori: i sorrisetti tra Barroso e Van Rompuy alla richiesta di giudizio sul programma
italiano hanno ricordato agli osservatori il micidiale precedente Merkel-Sarkozy che segnò di fatto l’inizio del declino di Silvio Berlusconi sulla scena Ue.
Per differenziarsi dal passato, stavolta Renzi deve portare a casa qualcosa. Il suo volano si chiama Pse: l’importanza dell’ ingresso del Pd nella casa socialista si è visto nell’appoggio esplicito di François Hollande e di Martin Schulz alla battaglia riformista. E’ un asse che gli euroconservatori non possono sottovalutare. Soprattutto perché l’offensiva italiana si muove lungo un binario ineccepibile: il nostro Paese rispetta i vincoli di stabilità ma l’Unione europea «deve risolvere i problemi» come ha fatto sapere il premier-segretario. Che cosa significa? Pressapoco quello che ha spiegato Schulz: l’Europa deve aiutare l’Italia ad uscire dalla crisi. Il sottinteso è che Bruxelles debba lasciare al nostro Paese maggiori margini di flessibilità, per esempio consentendo che i fondi Ue siano conteggiati fuori del patto di stabilità.
L’impressione è che i vertici europei in scadenza abbiano trovato in Renzi una durezza imprevista. Comunque richieste molto ferme rispetto ai governi di Monti e di Letta. Rispetto al passato è la strategia di fondo ad essere mutata. Renzi insiste sul fatto che l’Italia non si presenta in Europa da fuori corso ma da membro fondatore dell’Europa con una richiesta precisa: quella di considerare le riforme strutturali avviate in Parlamento che rappresentano il vero cambio di passo. Il premier ritiene positivo che l’Ue apprezzi la novità: proprio per questo aggiunge che non ha senso continuare a discutere dello 0,2 per cento del deficit. Un parametro da rispettare ma anche da cambiare perché anacronistico.
Vedremo come andrà a finire la partita, ma certo l’offensiva renziana non mette in discussione solo il rigorismo economico ma la stessa filosofia politica che lo sorregge, cioè il merkelismo imperante. Il che comporta una tensione latente tra Roma e Berlino che in realtà anticipa la sostanza della battaglia che andrà in scena alle elezioni europee tra socialisti e popolari.
Il Nuovo centrodestra accetta questa impostazione perché spera di trarre profitto dalla difficile situazione in cui si dibatte Forza Italia. Il partito berlusconiano è chiamato infatti alla prova più difficile dalla sua nascita: l’incandidabilità di Silvio Berlusconi ha messo in luce l’eccesso di dipendenza del partito dal suo leader carismatico, l’assenza di soluzioni di ricambio e anche di una credibile linea di successione. Con il rischio che esploda ben presto una lotta intestina tra i colonnelli.
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