Ai tempi del secondo governo Prodi, il più grande analista politico delle vicende della sinistra italiana - Corrado Guzzanti - iniziò a portare in scena una strepitosa, inarrivabile caricatura del presidente della Camera Fausto Bertinotti. Visto che Guzzanti è un genio – altro che quel comico del sabato sera di Crozza – riuscì a non fermarsi all’imitazione impeccabile del leader della gauche salottiera, ma a trasformarlo nella metafora di tutto il velleitarismo, il fanfaronismo, il chiacchieronismo, il benaltrismo, il cialtronismo, lo scissionismo genetico che ha segnato l’epopea della sinistra movimentista italiana e che ha creato dei tipi umani, dei profili lombrosiani, dei mostri mostruosi tornati in primissima fila nella pantomima che sta andando in scena in queste ore prive del minimo senso del ridicolo.
Andate a vederlo. Basta digitare su Google “Corrado Guzzanti Bertinotti la nuova strategia della sinistra” per gustarsi un vero capolavoro della satira di costume e una delle più profonde analisi dell’antropologia culturale dei nostri rivoluzionari da terrazza. Una roba da far invidia ai trotzkisti del Catasto del mitologico “Ecce Bombo” di Nanni Moretti. E quindi il Guzzanti-Bertinotti, commentando l’ennesimo disastro elettorale e l’implosione del governo ulivista, ricorda “una notte d’estate alle Bahamas - dove ero andato ad aiutare certi operai in difficoltà… - quando sono stato aggredito da un nugolo di zanzare. E più colpivo, più mi pungevano. Allora ho capito che quello che era successo alle elezioni era la nostra fortuna. Oggi i grandi animali non fanno più paura a nessuno. Di cosa abbiamo paura? Dei virus, microrganismi che non riusciamo neanche a vedere! E allora noi dobbiamo continuare scinderci sempre di più e creare migliaia di microscopici partiti comunisti indistinguibili uno dall’altro che cambiano continuamente nome e forma, nome e forma, nome e forma. E attaccare la destra come gli insetti!”.
Altro che inchieste, editoriali, interviste, ricostruzioni storiche e saggistiche. Non servono a niente. L’unica chiave di lettura per capire qualcosa delle vicende del Pd sembrerebbe essere solo quella grottesca, iperbolica. Perché, a prima vista, a una persona normale questi appaiono come dei bambini dell’asilo, dei pupazzi capricciosi, dei disperati, dei diseredati, delle macchiette, dei sopracciò, dei quaquaraquà, degli scappati di casa, gente che non sa chi è e che non sa di cosa sta parlando e che passa le serate a fare gli scherzi suonando ai citofoni e citando Lenin mentre schiva la secchiata d’acqua - “Andate a dormire!”, “La rivoluzione non dorme mai!” - , visto che una scissione motivata dal calendario del congresso o delle primarie non la si vedrebbe neppure in uno sketch dei fratelli Marx.
Ma non è così. Questo è ciò che appare, ma ciò che appare non corrisponde alla verità. La verità vera - e qui bisogna tornare seri - è che sotto la coltre delle risate e delle sghignazzate e della follia che pare albergare da quelle parti cova una lotta sanguinosa per il potere. E basta. Non c’è altro. Niente. Zero. Nulla. Non ci sono visioni di mondi contrapposti. Scenari dissonanti. Culture inconciliabili. Scontri su principi non oggetto di trattativa. Questa è tutta fuffa, tutto gas soporifero con il quale infarciscono i loro illeggibili discorsi e le loro melmosissime dichiarazioni. L’unica cosa che conta e che a loro importi - altro che gli interessi supremi dell’Italia - è tenere le mani ben salde sul volante della macchina del potere Pd, con tutti i suoi posti, i suoi seggi, i suoi collegi, i suoi capilista, le sue prebende, le sue rendite, tenendo al contempo ben lontane le mani di quegli altri. E il tutto avvelenato da una resa dei conti su questioni personali che oppongono gli sgallettati renziani da una parte ai dinosauri dalemiani dall’altra.
È una delle tante conseguenze della fine di un mondo. La caduta delle ideologie, quelle che hanno innervato nel bene e nel male la storia dell’Italia dal dopoguerra al crollo del Muro - la storia di un paese schifoso e tragico, ma più serio di quello di oggi - non hanno aperto, come si sperava, le porte alla libertà, alla laicità dell’impegno civico, alla politica affrancata dai moloch massimalisti, quanto invece al nulla culturale, alla mera appropriazione del potere per uso personale, alla tutela del rendiconto e dei garantiti, all’arraffa arraffa seriale ai danni di tutti, degli altri, dello Stato e pure del proprio partito. La scissione, questa, l’ennesima, desiderata in fondo da entrambi i contendenti, non si basa su alcuna motivazione politica o ideale e non progetta alcunché. Punta solo a incardinare poltrone e bunker che altrimenti sparirebbero, visto che ormai nessuno ti vota più, soprattutto i lavoratori veri, abbandonati ai morsi della rivoluzione del mondo globale mentre frotte di sindacalisti forforosi continuavano a occuparsi di bandiere rosse, gite in pullman, tessere ai pensionati e scioperi dei trasporti curiosamente sempre di venerdì. E a inventarsi nuove battaglie in difesa di misteriosi diritti inalienabili, chissà, quelli dei bradipi del Magadascar, degli spazzacamini revisionisti, dei pianisti di pianobar, dei bimbi dolicocefali degli Atzechi e, soprattutto, di alcuni tipi di felci, che vanno tutelate da questo capitalismo selvaggio e sfrenato che si basa sul profitto e lo sfruttamento del lavoro delle masse.
Non c’è niente da fare. Aveva proprio ragione il Guzzanti-Bertinotti nell’irresistibile appello a tutti i compagni di ogni ordine e grado: “Sparite dal mondo del visibile, scindetevi e moltiplicatevi, diventate microorganismi politici neanche rilevabili dall’elettorato. La sinistra deve tornare a essere un mistero: sei tu che devi cercarla, ma lei sparisce continuamente. E poi un giorno, magari fra cent’anni, dopo vari colpi di Stato, una guerra nucleare e il mondo ridotto in macerie, la sinistra tornerà e dirà una cosa fondamentale. Mi ha cercato qualcuno?”.
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