I comunisti mangiavano i bambini. I tedeschi li fanno piangere. Mancava solo quest’ultimo chiodo per appendere alla parete lo spaventoso quadro della Crudelia De Mon degli anni Duemila. La strega. La cattiva. L’insensibile. L’implacabile. L’orca. L’arida. L’affamatrice. L’erinni cresciuta al di là del Muro. La cancelliera-mostro che domina e dispone e invade e atterra e suscita tanto e meglio e con ferocia più sottile di quello là con il ciuffo e i baffetti. Altro che la Thatcher. È la Merkel la vera pitonessa del potere europeo e forse, presto, di quello mondiale.
Ha fatto il giro del mondo la scena del premier tedesco che va in una scuola di Rostock a rispondere alle domande di un gruppo di bambini. E che quando prende la parola una deliziosa ragazzina palestinese, le ricorda che sì, lei è carina e simpatica, ma che la politica è a volte molto dura, che i profughi in Germania sono troppi e che, quindi, molti di loro dovranno essere rimpatriati, perché lo Stato non ce la farebbe ad assorbirli tutti. La bambina, che si chiama Reem e che naturalmente fatica a cogliere le dinamiche del potere e delle relazioni internazionali, si impaurisce al pensiero dell’inferno che potrebbe riagguantarla e si mette a piangere. La Merkel l’abbraccia nel tentativo, di certo molto goffo, di consolarla, ma ormai la frittata è fatta. Sui media, sul web e soprattutto nel caravanserraglio mediatico della nostra repubblica delle vongole parte il circo Barnum.
E tali e tanti e di infinite sfumature di rosso sangue sono i commenti e gli insulti e i lai e le altissime indignazioni e le prediche e i fervorini che, a un certo punto, visto che quando ci sono di mezzo i bambini diventiamo tutti ipersensibili, dopo aver tanto desiderato di appendere a testa in giù la perfida cancelliera, ci siamo immaginati come si sarebbe comportato un leader (ah ah) italiano al suo posto. Dipende dai casi, visto che mentre in Germania ne cambiano uno a decennio, qui si sfornano statisti al ritmo di uno a semestre.
Dunque, se capo del governo fosse stato un pensoso e accigliato politico del centrosinistra, le avrebbe certamente detto che poteva stare tranquilla, perché il belpaese, culla del diritto e della civiltà, avrebbe ospitato lei, la sua famiglia, i suoi parenti, i suoi amici, i suoi vicini di casa, assieme a tutti i profughi che solcano le acque dell’universo mondo, perché questo sì che vuol dire democrazia condivisa e che era una vergogna che il capitalismo arraffone e complottista demo-pluto-giudaico affamasse terzi e quarti mondi e che il meglio del meglio della nostra bella Italia equosolidale - sindacalisti forforosi, blogger pulciosi, intellettuali tsiprioti, ginistrada boldriniani, muezzin della doppia morale – avrebbe spalancato le porte a chiunque ne avesse avuto bisogno. Tanto poi, dal loro cascinale con carciofaia nel Chianti, sai chissenefrega dei profughi sbadilati nelle peggio periferie pasoliniane.
Oppure, avrebbe potuto incocciare in un primo ministro piacione e arcitaliano, che le avrebbe confidato quanto la sua storia l’aveva commosso ed emozionato e toccato nelle corde più riposte, perché lui - che arrivava dalla gavetta e che per fare carriera si era fatto un mazzo così, fin da quando suonava il piano sulle navi da crociera o sgobbava da ragazzo di bottega nei vicoli di Firenze – aveva subito capito che lei era una ragazzina eccezionale e che sarebbe sicuramente riuscita a cambiare verso e ad accaparrarsi uno dei milioni di nuovi posti di lavoro (magari dopo un provino ad Arcore o una seduta motivazionale alla Leopolda), con tanto di comparsata piagnucolante da Vespa e dalla D’Urso. Poi, finito lo show, le avrebbe rifilato una tessera falsa del Pd o di Forza Italia, prima di rispedirla a calci nel sedere in un qualche campo profughi del Libano citeriore.
O infine, un truculento leader dell’antagonismo webbaro e postideologico, perché tanto ormai destra e sinistra non esistono più, a urlarle in faccia di smetterla di fare la furbetta e la mantenuta e la parassita e di venire qui a rubare il posto alle elementari ai bambini italiani e terrorista e khomeinista e stragista e affiliata all’Isis e stai in campana, che bombardiamo te e il tuo barcone e il tuo burqa e i tuoi cammelli fondamentalisti e i tuoi datteri esplosivi.
Tre facce dello stesso ridicolo infantilismo italiota. Tre maschere dell’insabbiamento del duro e salutare principio di realtà, che differenzia i politici seri - e gli statisti - dagli imbonitori di piazza e dai cialtroni. È inutile e stucchevole rivangare il plot de “La vita è bella” e quanto fosse struggente la bugia del padre per nascondere la natura dei lager al figlioletto attraverso un camouflage fiabesco. Innanzitutto, perché il vero capolavoro, spassoso e amarissimo, sulla Shoah è “Train de vie”, altro che Benigni, e poi perché quella è una via sbagliata.
I bambini, soprattutto quando sono ormai quasi dei ragazzi, hanno bisogno di sentirsi dire dei “no” duri, affilati e laceranti, non la solita litania di “sì” bambocceschi e untuosi, che rappresentano invece la specialità della peggiore generazione di genitori (noi) che sia mai apparsa sulla faccia della terra.
Ai ragazzi si dice la verità, anche se questo significa farli piangere, perché è così che ci si occupa di loro. Facendogli capire quanto sia dura e ingiusta e straboccante di dolori e ingiustizie e meschinità e tradimenti l’avventura che stanno per intraprendere.
E questo senza dover ricordare i sette milioni di stranieri che vivono in Germania, i diciassette che hanno una storia familiare di immigrazione e la possibilità dei bimbi stranieri nati lì di poter scegliere la cittadinanza tedesca. Questi sono dati pesanti, inconfutabili e civilissimi. Ma non sono questo il punto. Il vero punto è un premier che dice la verità e altri che dicono balle. E noi italiani siamo ormai tutti un po’ troppo cresciuti per farci raccontare ancora la storia del mago dai quaquaraquà che ci rappresentano.
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