Fu vera fama? Piano piano, ma qualche assunzione in più arriva e il jobs act è appena stato varato, la richiesta di muti sale in doppia cifra, la fiducia dei consumatori cresce, le aziende che esportano vedono volumi di crescita anche del 30%, la Moncler del comasco Ruffini nell’ultimo trimestre del 2014 ha visto le vendite sul mercato americano salire di un brillante 28%. Insomma la ripresa è qui, «c’’è un ottimismo nuovo che non c’era fino a qualche settimana fa » ha sottolineato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ieri a Cernobbio. E dalla platea di imprenditori partecipanti al Workshop Ambrosetti di primavera è arrivata puntuale la conferma che il “sentiment” collettivo, almeno nelle aziende, si sta orientando verso il bel tempo. Nel televoto interno il 63% delle imprese prevede di chiudere con un fatturato in aumento, anche oltre il 10%. Rosee a anche le indicazioni sulle assunzioni, uno su due assumerà e il 32% non prevede neppure contrazioni. Ultimo dato: rispetto all’ultimo triennio più di 6 imprese su 10 hanno programmi d’investimento in aumento, nel 18,3% dei casi anche oltre il 20%.
Il premier twitta un giorno sì e l’altro pure che l’Italia è a una svolta e adesso l’Ambrosetti, dove si ritrova quella “finanza da salotto” come lo stesso premier l’aveva bollata, disertando l’appuntamento il settembre scorso, si pone sulla sua scia.
Ma fu vera fama? Su questo il consesso di Cernobbio è un po’ più prudente, anche se il varo soprattutto del jobs act, almeno tra i rappresentanti delle imprese e molti tra finanzieri ed economisti, ha portato al rialzo le azioni di Renzi. Ma l’agenda delle riforme è fitta, ha confermato il ministro Padoan, quindi altre promozioni potrebbero essere alle viste.
Per ora però a gonfiare le vele dell’ottimismo della platea dell’Ambrosetti è quell’euro debole che fa schizzare le esportazioni e mette sulla difensiva il dollaro dell’America risorta dalla crisi dei subprime. Ma è anche il petrolio mai così basso da anni e con prospettive di rialzo minimo solo per la fine del'anno. E soprattutto sono i primi, imprevisti nella velocità, effetti del quantitative easing di Draghi, molto annunciato, ma efficace solo ora che è partito: 60 miliardi al mese per 18 mesi, una quantità di denaro che è pronta a invadere le banche, mettere al sicuro i bilanci e trasferirsi in aziende e famiglie. «È una sfida per uscire da una recessione tanto lunga e che ha portato via 10 punti di Pil» ha avvertito ieri Padoan, respingendo il sospetto che il governo si stia rilassando sulla via delle riforme per approfittare della spinta inerziale innescata dalla ripresa globale.
Renzi o Draghi che sia, la fama si può anche spartire. Basta che il ciclo virtuoso riprenda e gli investimenti si aggancino a questo treno. La fiducia in economia conta, eccome, ma al massimo per il 50%. Ecco perché dietro l’ottimismo dell’Ambrosetti, almeno sul versante italiano vi sono attese, pressanti e importanti: riforme, come hanno riconosciuto sia Visco che Padoan, da attuare in fretta sui nodi caldi e storici, ma per questo difficili e dolorosi: si chiamano corruzione, efficienza della pubblica amministrazione, giustizia veloce, liberalizzazioni. Se si fallirà questo appuntamento, Renzi stia certo: sarà da Cernobbio che lo saprà. E, in quel caso, non parli nè di gufi nè di “finanza da salotto”.
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