La perdita di un figlio è un dolore straziante e ineluttabile, soprattutto per i genitori, un trauma interiore che segna per la vita. Se poi la perdita riguarda una bambina piccola di un anno e pochi mesi, il dolore si amplifica, diventa infinito, inspiegabile, soprattutto se si leggono le circostanze, una sera di pioggia, la strada bagnata, il buio e uno scontro frontale tra due automobili a Vighizzolo, vicino a Cantù: l’unica ad andarsene, come un piccolo angelo, ripreso dal cielo è proprio la bambina, la piccola Aurora.
Si potrebbero aprire tante parentesi sulla vicenda e sulla mancanza del rispetto di alcune norme di sicurezza, quali l’uso del seggiolino, obbligatorio per il trasporto dei bambini, che non era presente sull’auto dove viaggiava la bambina, ma anche sulla positività all’alcol test del conducente dell’altra automobile coinvolta nello scontro.
Non lo facciamo, per una questione di pietà e di rispetto riguardo al senso di questo dolore, che è quello che colpisce.
Le cause dell’incidente sono ancora tutte da accertare, anche se trovare una colpa in questa vicenda diventa difficile, ma anche inopportuna per chi scrive. Già è implicita, nella notizia, il richiamo ad un rispetto molto più attento e severo di quelle che sono le norme che devono garantire una guida sicura. Sarà poi dovere delle forze dell’ordine che stanno indagando stabilire le responsabilità di quanto è accaduto.
Quello scontro frontale, sull’asfalto bagnato, lascia però un grande vuoto, il senso di una perdita che appare crudele e ingiusta, come sempre, quando abbiamo a che fare con i bambini e soprattutto ci lascia l’immagine di una vita che si spezza, così all’improvviso, in una sera scura e fredda, su una strada della nostra Brianza. Allora questo può essere solo un omaggio, attraverso il ricordo, per una bambina che non abbiamo conosciuto, ma che entra nel nostro cuore come se fosse anche figlia nostra, immaginando quanta sofferenza potremmo provare se ci venisse a mancare.
Partecipare al dolore degli altri, senza giudicare, come è necessario in questo caso, diventa una forma di pietà, ma anche un dovere, in un contesto sociale in cui ognuno è lasciato solo, dove diventa difficile condividere. La morte di questa bambina, il cui nome indica già una speranza, Aurora, come la luce che nasce e che il destino beffardo ha voluto spegnere, non è e non può rimanere solo un caso di cronaca: invita a riflettere sulla perdita di ciò che ci è più caro, su come affrontare la mancanza e il lutto e su come eventualmente superare quel senso di colpa che si annida, inesorabilmente, dentro l’anima.
Così l’unico pensiero e l’unico gesto che possiamo fare di fronte al vuoto cui ci pone la morte improvvisa di un innocente va alle parole di Gesù, le più alte che abbia pronunciato, quelle in cui parla delle Beatitudini. Dice, e ci sembra un paradosso, «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati». Il suo, in realtà, è un invito a non lasciare che il dolore venga consumato nella solitudine, ma trovi una possibilità di consolazione, in chi ne capisce e comprende la forma e l’entità e si stringe intorno affinchè la luce di Aurora che si è spenta, ritorni lentamente a crescere, attraverso il ricordo, nel cuore di chi le ha voluto bene nel breve tempo spezzato della sua vita.
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