La mafia è qui. A Guanzate tortura e seppellisce i suoi morti, a San Fermo ricicla rifiuti e veleni sotto le fondamenta dell’ospedale. A Mariano e in chissà quanti altri paesi infila consiglieri comunali in commissione edilizia, decide quali terreni edificare, a chi fare regali e a chi chiedere favori.
Le prove e gli arresti si moltiplicano. Nelle carte dell’indagine della Divisione distrettuale antimafia chiamata Arcobaleno, i carabinieri di Como dicono apertamente che «Siamo in presenza di un assalto finanziario all’intera area canturina (…). Sono ormai consolidate sul territorio lariano alcune presenze che costituiscono il terminale delle attività economico finanziarie delle ‘ndrine del Reggino». Emerge la figura di un consigliere eletto nel 2009 grazie ai voti della malavita che fa gli auguri di buon Natale a un boss: «Mi hai fatto la campagna elettorale, a Cadorago ho vinto per te».
Fra una raffica di mitra a una vetrata, fra croci e teste di capretto a Fino Mornasco, tra un’esecuzione e l’altra al maneggio di Bregnano, al bar Arcobaleno di Bulgorello o nella fossa di Guanzate, si moltiplicano anche i casi sospetti di lupara bianca.
La società civile stenta a reagire. C’è perfino chi su Internet gioisce alla scoperta di ogni nuovo cadavere perché «tanto si ammazzano fra di loro, da oggi ne circola uno in meno». Forse non sa o finge di non sapere che le cosche della ‘ndrangheta contribuiscono in maniera significativa all’elezione della classe dirigente di paesi e città, fanno confluire i loro voti su consiglieri provinciali e regionali.
La criminalità calabrese corrompe il tessuto economico e si compra gente che di cognome non fa Platì ma Perego e smuove terra per strade e autostrade. L’ultima inchiesta, quella che ieri ha fatto tredici arresti, racconta che il boss Muscatello fa votare ai suoi un lombardissimo Anzani. E dimostra che non esiste opera pubblica importante nella quale il potere mafioso non cerchi di infiltrarsi. Ultima nell’ordine, la tangenziale per l’Expo.
È finita un’epoca, anche se non siamo alla fine del mondo. Per il momento le nostre associazioni industriali non hanno bisogno di radiare i soci che scendono a patti con la criminalità organizzata, come avviene in Sicilia. Però i centri di potere corrotto si moltiplicano e seguono purtroppo i canali di finanziamento pubblico dei nostri enti locali, delle nostre asl, dei nostri ospedali.
Il rischio è quello di aver buttato via i primi vent’anni, quelli trascorsi dai quattrocento arresti dei Fiori della notte di San Vito ai tredici dell’operazione Quadrifoglio di ieri. Era il 1994 quando i primi pentiti di mafia raccontarono che la ’ndrangheta aveva una struttura geopolitica basata sui “locali”, una forma gerarchica assistita da gruppi armati di stampo militare e una formidabile capacità di infiltrazione basata sul voto di scambio. Guardiamoci intorno e scopriremo che ora come allora le pubbliche amministrazioni pullulano di signori nessuno, senza storia né mestiere in grado di giustificare i loro lussi. Infiltrati nei grandi partiti popolari, di destra e di sinistra, purché comandino.
Cento, mille, ventimila preferenze a seconda che puntino al Comune o alla Regione, che sembrano spuntare dal nulla e sono invece il frutto delle indicazioni di voto di signori calabresi di 80 anni inquisiti per il 416 bis già nel secolo scorso.
Fermiamo il mercato criminale delle preferenze finché siamo in tempo e rafforziamo i poteri di vigilanza come quelli che hanno fatto saltare la gestione in odor di mafia al Lido di Menaggio. A Como, per ora, non serve alcuna trattativa.
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