Il caso Apple sarà anche complesso, eppure fotografa un paio di certezze di cui ci sarebbe piaciuto anche fare a meno.
Primo, le disparità fiscali si vivono con effetto deleterio pure in casa, ovvero in terra europea: altro che fratelli e amici. Secondo, se in un modo o nell’altro i colossi se la cavano o almeno ci provano, per i piccoli non c’è nulla da fare.
La vicenda che è esplosa in questi giorni, aggiunge amarezza in una fase dell’anno in cui le imprese lariane si aspettano segnali più favorevoli per i loro bilanci. Ma sanno che resta il freno costante di un fisco sempre vorace.
Un passo indietro. Secondo la Commissione europea l’Irlanda ha concesso ad Apple vantaggi fiscali indebiti per 13 miliardi di euro. Un trattamento definito illegale rispetto alle norme Ue sugli aiuti di Stato, visto che avrebbe concesso ad Apple di versare meno imposte in confronto ad altre imprese. E all’Irlanda ora spetta il compito di recuperare tutto ciò. Interpretazione a cui si sono opposte sia la società di Cupertino sia Dublino, che ha valutato il ricorso.
Ma a prescindere dell’epilogo di questa vicenda, impietoso è il raffronto tra Paesi a proposito della tassazione, con l’Italia in testa alla classifica dell’aliquota fiscale. Vale per il prelievo fiscale sulle società, ma anche per quello sugli utili. Quest’ultimo meno accentuato, ma non troppo. Basti pensare che tra Ires e Irap l’Italia preleva più del 30%, l’Irlanda appena il 12%. In terra comasca si fa notare la posizione della Svizzera nella graduatoria: felice e trentesima. Ma se crea problemi per la vicinanza con il Lario e la tentazione di trasloco che comporta per le imprese (più per quelle finanziarie, che per le manifatturiere), è faccenda meno dolorosa perché siamo almeno fuori dall’Unione europea.
Quell’Unione europea in cui un gruppo di nazioni fa da troppo tempo ostracismo – ad esempio – sulla tutela del made in Italy. Questo perché ormai il manifatturiero non è affare di tutti, anzi di pochi. E quindi a questi ultimi non conviene accettare le legittime richieste dell’Italia e dell’altro pugno di nazioni che reclamano un freno alla concorrenza sleale.
Già, ma sleale da parte di chi? Tutto questo può apparire meno di rilievo in un periodo storico scosso da emergenze come il terrorismo. Non è però così, anche perché si parla di economia, di posti di lavoro, di famiglie, di futuro costruito - per lo più - dalle micro imprese, ovvero le meno tutelate.
Ecco la vera certezza che emerge dalla querelle di questi giorni.
La “mela” e altri colossi possono anche trovare un modo di scampare dal fisco, equo o meno che sia. Ma i morsi sui piccoli, quelli non si placano mai.
[email protected]@MarilenaLualdi
© RIPRODUZIONE RISERVATA