Scoop: Como è viva. Somiglia a una città normale. Di più, ha assunto una parvenza di località turistica. Rullino i tamburi e squillino le trombe, bisogna festeggiare. Ci scuserete se usiamo un pizzico d’ironia, ma dopo anni di dibattiti sulle potenzialità inespresse del nostro capoluogo e di elucubrazioni sul destino di un territorio «che non può più basarsi solo sul tessile», quello che stiamo vedendo nelle ultime settimane va accolto come una sorta di miracolo. Non che i segnali di un risveglio di Como dal letargo siano mancati negli anni scorsi, ma è la stagione estiva in corso a segnare - almeno così ci sembra - la svolta definitiva. Tutto bene, dunque? Non per tutti. La cosiddetta movida (ma qui siamo lontani anni luce da Ibiza e Rimini) risulta indigesta a più di un comasco. Li sentiamo borbottare, li vediamo scuotere la testa, i più arrabbiati sbraitano e se la prendono con il mondo intero (il primo della lista, ovviamente, è il Comune). Perché la sola presenza di tanta gente a passeggio, dopo l’ora di cena, per qualcuno resta un affronto intollerabile, una fonte di disturbo, un pericolo.
Opinione rispettabile, ma sbagliata. Per varie ragioni. Primo: una città viva è una città più sicura (ci sentiamo forse più tutelati in un centro storico deserto anche d’estate, alle otto di sera?). Secondo: la movida “fa girare l’economia”, e se i locali funzionano è un vantaggio per tutti. Terzo: un luogo che offre opportunità di svago attrae tanta gente - turisti ma anche persone che vivono nella zona - e crea un circolo virtuoso che si traduce in nuove opportunità di lavoro per i comaschi, in primis per i giovani.
Certo, le cose funzionano solo se si mettono i paletti giusti. Regole chiare, niente movida selvaggia. Ecco perché non vanno visti come uno sgarbo i controlli effettuati dai vigili, l’altra sera, in viale Geno e in alcuni locali del centro. Tu, caro cliente, se posteggi su un’aiuola meriti la multa. E tu, gentile barista, se vendi alcolici ai minori non puoi pensare di farla franca. Città viva non significa “liberti tutti”, di fronte a un ragazzo che si comporta in modo incivile i residenti hanno tutto il diritto di arrabbiarsi, e segnalarlo subito alle forze dell’ordine è un dovere. Alcuni comportamenti non sono accettabili e vanno puniti. Ma, dall’altro lato, non è giusto che Como rinunci a “vivere” per colpa di poche mosche bianche.
Con questo spirito ci permettiamo di dare un consiglio non richiesto al comandante della Polizia locale, il corpo che più spesso si occupa di quelle situazioni a cavallo tra la maleducazione e il reato. Un suggerimento semplice ma vincente, da indirizzare ai suoi uomini: usare il buonsenso. Sappiamo bene che la maggior parte degli agenti lo fa già, è importante che diventi una linea di condotta comune. Detto in termini ancora più espliciti, non è il caso di accanirsi nei confronti del proprietario di un’auto che supera di pochi centimetri la riga blu del parcheggio né di tartassare il bar se un singolo avventore è uscito dal locale con il bicchiere di vetro in mano.
In fondo non ci sono segreti o formule magiche per garantire il diritto al divertimento, quello al riposo, e la legalità. Ognuno deve fare fino in fondo la propria parte, tutto qui. State pensando ancora al Comune? Sì, deve farlo anche il Comune. Bene la chiusura al traffico di viale Geno, per esempio. Anzi, sarebbe stato meglio far scattare prima il provvedimento, ma di fronte alla burocrazia e alle lungaggini della macchina amministrativa il buonsenso non basta.
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