I bambini comaschi non hanno mai visto il lungolago. Non lo conoscono. Non fa parte delle loro emozioni, dei loro giochi, dei loro sogni, della loro memoria, della loro esperienza. Sono bimbi dimezzati, derubati, mutilati. E sono bimbi destinati, una volta grandi, a diventare i ragazzi di una nuova generazione. La generazione dei “senza lago”.
È forse questa, fra le mille che si possono fare oggi, otto anni dopo la vergogna delle paratie, la considerazione più amara e malinconica. E’ questa l’eredità davvero insopportabile, perché qui non siamo di fronte all’irrompere di un dramma, di una tragedia, di un evento imprevedibile che ha travolto un territorio e sconvolto le esistenze di una comunità che poi però torna, piano piano, rimarginate le ferite, lenito il dolore, alla sua vita di tutti i giorni. No. Qui no. Qui il meccanismo è più infido, mellifluo, fangoso, fariseo. Qui il disastro delle paratie non è più, appunto, un mero disastro, quanto invece vita quotidiana, sfregio subìto, accettato e rimosso, servitù e genuflessione all’insipienza, all’inadeguatezza, all’incompetenza, all’arroganza di chi ha escogitato questa bella pensata, dissipato valanghe di soldi pubblici, esercitato la formidabile filosofia secondo la quale è sempre colpa di qualcun altro e lasciato, infine, la città in ginocchio.
E, badate bene, non stiamo parlando dell’ultima delle città italiane, ma di una delle tre o quattro più famose al mondo. Perché all’estero - dalla Cina alla Patagonia, dalla Groenlandia al Sudafrica - nessuno sa cosa sia la Lombardia o l’Insubria o la Padania ma tutti, tutti davvero, sanno cosa sia Como. Dove sia. Quale sia la sua storia, la sua cultura, il suo valore. E sanno tutto del suo lago unico, delle sue ville, delle stelle che fanno a gara per passarci le vacanze, delle sue location paesaggistiche e cinematografiche da sogno. E invece, da otto anni le migliaia e migliaia di turisti stranieri che arrivano nel nostro territorio si domandano, riflettono e arzigogolano su quanto siano pittoreschi questi italiani baffo nero mandolino che sono riusciti nell’impresa napoleonica di erigere un muro sul lungolago più bello di tutti e poi di lasciarlo lì a marcire per lustri e decenni. L’ontogenesi di un mostro. Molto pittoresco.
Che vergogna. Che macerie. Che fogna. Che schifo. E allora, proprio per questo motivo, il nostro giornale, senza perdere troppo tempo a fare la conta delle responsabilità e delle colpe – ne abbiamo scritto per anni e ne scriveremo ogni volta in presenza di notizie nuove, mentre attendiamo i prossimi passi della Procura e della Corte dei conti - vuole trovare una soluzione. E soprattutto vuole catalizzare al suo interno un sano, motivato, simpatico e costruttivo senso di rivolta che smuova e sgorghi la palude.
E allora, grazie al supporto convinto e coraggioso del nostro editore, che non finiremo mai di ringraziare, vi regaleremo assieme al giornale tre magnifiche cartoline - martedì, giovedì e lunedì prossimi - con altrettanti scatti d’autore sul lungolago violentato. Vi chiediamo di firmarle, di aggiungere una piccola frase se volete (ma niente volgarità, per favore, noi siamo migliori di quelli che hanno combinato questo pasticcio) e riconsegnarla al vostro edicolante di fiducia. Penseremo poi noi a raccoglierle tutte – saranno decine di migliaia – e portarle a Roma per consegnarle al presidente del consiglio, l’unico in possesso dei poteri necessari per commissariare tutto, superare i lacci e le trappole e mettere la parola fine a questo scandalo internazionale. Renzi fa sempre il fenomeno: vediamo se bluffa anche stavolta oppure no.
“La Provincia” è un’istituzione, lo è da centoventiquattro anni e – nel vuoto pneumatico lasciato da tante altre istituzioni allo sbando – sente il dovere morale di fare la sua parte in questa battaglia di civiltà. Ora però abbiamo bisogno di voi, cari lettori, cari comaschi, del vostro sdegno, della vostra passione civile, della vostra ostinazione a non rassegnarsi al declino, alla decadenza, all’indecenza. Basta una cartolina per dare un segnale. Basta una firma per cambiare le cose.
Combattiamo assieme la battaglia contro le paratie cercando di non dimenticare la cosa più importante. Questa è l’ultima chance. Se la perdiamo, non ce ne sarà un’altra. A martedì.
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