Il bello della politica italiana a volte è di essere come quelle partite di calcio che secondo Bruno Pizzul sfuggono a ogni pronostico. E ieri tanti politologi più o meno da bar sport, incluso l’estensore di questo articolo, sono stati costretti ad affannosi ripiegamenti sui loro pronostici.
La prima votazione per l’elezione del nuovo capo dello Stato sarebbe dovuta essere un Vietnam parlamentare. Invece è sembrata la sfilata che un tempo si svolgeva sulla piazza Rossa di Mosca nell’anniversario della Rivoluzione d’ottobre. Tutti perfettamente allineati sulle posizioni disegnate da Matteo Renzi, da ieri sera novello Von Clausewitz della politica. Se tutto andrà come deve andare e domani Sergio Mattarella sarà il nuovo presidente della Repubblica, il premier segretario del Pd avrà portato a casa tutto il piatto con una partita di poker degna del mitico Carlo Delle Piane in “Regalo di Natale” di Pupi Avati.
Renzi ha tenuto in mano le carte fino all’ultimo, ha calato poi quella di Mattarella ed è riuscito a sparigliare il Patto del Nazareno (peraltro ormai carta straccia dopo aver incassato Jobs Act e praticamente la riforma elettorale), riportato al passo la riottosa e rissosa minoranza Pd e persino recuperato l’antico alleato di Sel. Del resto Renzi, alla luce della precedente mancata elezione presidenziale culminata nel Napolitano bis che aveva schiantato il povero Bersani, era conscio che questo passaggio presidenziale sarebbe stato decisivo anche per il suo futuro. E se perfino quelli del Fatto Quotidiano, che sparano a palle incatenate sul segretario Pd un giorno sì e l’ altro pure hanno riconosciuto la sua vittoria totale c’è proprio poco da dire.
Che questa partita a poker del Quirinale somigli molto a quella della pellicola di Pupi Avati, lo dimostrano gli alleati che si scoprono avversari e poi sconfitti. Uno su tutti: Silvio Berlusconi. Povero ex Cavaliere. Sembrava avere lui in mano le carte da dare in questa mano, si è ritrovato con un due di picche in mano. Altro che grande rentrée sul palcoscenico della politica, altro che ritrovata agilità politica. La mazzata di ieri, con il partito che ormai va per conto suo, può essere davvero il decimo colpo di gong.
E Mattarella? In fondo dovrebbe essere lui il protagonista. Sarà il nuovo capo dello Stato (salvo colpi di scena). Ma l’ex ministro, oggi giudice della Corte Costituzionale che ha dato il suo nome a una legge elettorale e sgravato generazioni di giovani italiani dall’onere della naja, non è fatto per occupare il centro della scena. Sia chiaro: questo non vuol dire che non sia un politico di sostanza. Anzi. Però a Renzi va benone così. Mattarella lavorerà sodo in ombra al Quirinale, il premier continuerà ad abbronzarsi con i riflettori. Del resto è già riuscito a rubargli la scena prima ancora dell’elezione.
Il vero atout rappresentato dal quasi futuro inquilino del Colle sta proprio nel fatto che, per la sua personalità, deve mettercela davvero tutta per diventare divisivo. Certo tra lui il Cavaliere c’è quella vecchia ruggine legate alle dimissioni da ministro contro la legge Mammì che spalancava le porte dell’etere alle tivù di Berlusconi. E a uno così poteva dire no, quella parte di sinistra svezzata a porzioni di anti Berlusconismo. Anche per questo Renzi l’ha scelto. E comunque con Mattarella al Quirinale e il segretario Pd a palazzo Chigi saranno due gli ex democristiani nelle due più importanti cariche dello Stato. Com’è che non dovevamo morire?
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