Paratie, sipario. Almeno per il Comune di Como, costretto a stare a guardare dopo decenni. L’uscita di scena peggiore possibile per il sindaco Mario Lucini che sul rompicapo del lungolago ha costruito i suoi anni di capogruppo d’opposizione prima e la sua elezione alla guida di Palazzo Cernezzi poi. La Regione dalle 11,40 di ieri ha preso in mano l’opera che aveva affidato, fin dai primi passi, al Comune indicandolo come stazione appaltante. Oltre vent’anni più tardi se la riprende non solo non ancora completata, ma con la passeggiata a lago ridotta a un groviglio di reti, palizzate e lamiere.
Ma torniamo in via Vittorio Emanuele e a Mario Lucini perché la giornata di ieri segna il fallimento, senza appello, del suo mandato e della sua amministrazione. Un mandato che aveva un solo obiettivo: risolvere il problema del lungolago. Per questo, e solo per questo, Lucini ha ottenuto un consenso tanto diffuso nel 2012. In lui tanti, anche di centrodestra, avevano riposto la speranza di riavere il lago. E, invece, a sette mesi dalla scadenza del mandato, lascia una situazione peggiore di allora. Con l’epilogo di ieri.
L’effetto sarebbe stato molto diverso se l’affidamento del cantiere a Milano fosse avvenuto su sua richiesta. Dopo la bocciatura a tuttotondo del lavoro fatto negli ultimi quattro anni dall’Anticorruzione, dopo gli arresti dei suoi dirigenti, dopo gli indagati e, soprattutto, dopo aver ammesso, con umiltà, di non essere nelle condizioni di portare Como fuori dalle sabbie mobili. Invece no. È arrivato in un vicolo cieco e, dopo la diffida di dieci giorni fa, le possibilità di uscita erano ridotte al lumicino. Perché non sollevare per tempo il problema della nomina del direttore dei lavori? È stato lo stesso sindaco, prima dell’estate, a bussare a Palazzo Lombardia di mettere a disposizione il tecnico che poi non è riuscito a nominare formalmente. Questioni di burocrazia, certo. Ma in uno Stato fondato sul diritto chi, se non gli enti pubblici, devono conoscere le norme? Non ha fatto danno solo a se stesso, ma ha fatto esautorare una città intera, che non avrà più voce in capitolo nel recupero della sua zona più pregiata.
E se in Comune più di un funzionario ieri ha tirato un sospiro di sollievo dopo aver saputo di non doversi più occupare del fardello paratie, dal punto di vista politico per Lucini e per il centrosinistra è un ko di quelli pesanti a una manciata di mesi dalle elezioni.
Attenzione, però. Anche per il governatore Roberto Maroni e per le forze che lo sostengono non è affatto scontato che l’aver tolto il cantiere al Comune sia automaticamente un jolly elettorale. Perché oggi il cantiere delle paratie non ha nemmeno un progetto (sono tutti privi delle autorizzazioni paesaggistiche, revocate dalla Provincia) e la prospettiva più certa è un contenzioso legale sanguinoso con l’azienda che ha l’appalto dei lavori. Senza dimenticare che quasi tutte le scelte fatte dal Comune in questi anni sono state condivise dalla Regione, che ora si smarca.I mesi e gli anni potrebbero passare tra riunioni, sopralluoghi, avvocati, tribunali, appalti, progettazioni, revisioni, intoppi. E il lungolago restare nelle stesse condizioni.
Scenario che ci auguriamo di non dover raccontare perché i comaschi hanno già pagato un prezzo troppo alto per la ferita che ha squarciato il lago. E il cuore.
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